Quando a leggere è un bambino: un approccio ricezionista

Quando a leggere è un bambino.
Quando per la prima volta la letteratura per l’infanzia entra a Ca’ Foscari.
Per anni ho fatto ricerca sulla letteratura del Novecento nell’ateneo veneziano, la mia specializzazione è sempre stata la teoria della letteratura ma in questo termine, sin qui, il dipartimento di studi umanistici di cui facevo parte non faceva rientrare a pieno titolo il mondo della letteratura per l’infanzia.
Il 9 novembre scorso tuttavia la mia docente storica Ilaria Crotti, teorica e storica della letteratura, mi ha invitata a tenere una mini lezione durante il suo laboratorio della specialistica dedicato alla teoria della letteratura e questo semestre specificamente centrato sulla ricezione.
È per questo che ho strutturato il mio breve intervento con un occhio di riguardo al lettore…il ricevente del messaggio letterario.
Il lavoro ha incluso anche una parte di confronto con gli studenti a cui ho proposto 3 albi molto diversi tra loro dei quali hanno provato ad immaginare lettore immaginato e letture reale ovvero le due tipologie, l’una teorica l’altra reale, di ricettori del testo letterario.
Ecco i miei appunti per quel giorno.
“Un bambino è una persona piccola solo per un po’, poi all’improvviso cresce” (Beatrice Alemagna, Che cos’è un bambino, Topipittori).
La letteratura per l’ infanzia è tutt’altro che un genere letterario. Si tratta infatti di un vero e proprio SISTEMA LETTERARIO che, in maniera del tutto anomala si definisce in base al lettore, al destinatario del messaggio, inteso però in senso interpretativo.
La lettura è infatti diversa dalla ricezione perché implica un atto interpretativo.
Ogni tipologia di testo ed ogni tipologia di edizione implica un lettore “tipo”: un lettore “inscritto” che non è detto coincida o corrisponda al lettore implicito immaginato dall’autore. Nelle edizioni non buone i due lettori possono non corrispondere creando dei problemi di individuazione del lettore reale.
Avendo poco tempo a disposizione per fare anche solo intuire l’abisso del sistema letteratura per l’infanzia, il discorso prenderà in considerazione esclusivamente l’ albo illustrato, pianeta di questa enorme galassia.
L’albo si presta a questo tipo di lavoro perché: 1) può forse rappresentare un primo impatto più “suggestivo” ed immediato; 2) è forse la tipogia di libro meno conosciuta in ambiente accademico (non specifico evidentemente) e dunque quella forse più soggetta a pre-giudizio; 3) il suo status che ne limita il numero di pagine consente di lavorare su più libri leggendoli interamente; 4) last but not least la possibilità di ragionare,in questo contesto specifico, sulla ricezione con riferimento a linguaggi diversi: il linguistico/letterario; l’iconografico e il grafico. Questi tre linguaggi insieme costituiscono la specificità e la complessità dell’albo illustrato la cui narratività è mediata da tutti e tre indistintamente.
Chi è il lettore immaginato e implicito di un libro con le figure?
Ma soprattutto, ma questo potremmo chiedercelo per qualsiasi pianeta satellite della letteratura per l’infanzia,l’albo illustrato, il libro con le figure,può essere considerato un’opera letteraria a tutti gli effetti?
La risposta è: DIPENDE!
Se per opera letteraria intendiamo una produzione di qualità in grado di raggiungere il proprio pubblico e di farlo cadere a capofitto dentro di sè, allora l’albo illustrato,  così come qualunque altro prodotto editoriale, è un’opera letteraria se è di alta qualità.
Sartre è stato il primo a riconoscere alla lettura il significato di momento costitutivo dello statuto di teste letterario: la vita dell’opera è inseparabile dalla sua ricezione. Ce l’hanno ben insegnato i nostri autori del ‘900: l’opera, nel momento in cui viene edita e oggettivata nell’oggetto libro prende una vita autonoma, del tutto indipendente dalla volontà dell’autore. È questo del resto, se ci pensiamo, che ha reso possibile il cosiddetto “tradimento creatore” che ha fatto sì che i ragazzi si “appropriassero” di testi assolutamente non pensati per loro (pensate ai viaggi di Gulliver o all’isola del tesoro tanto per nominare i più famosi).
Pensiamo a quanto tutto questo si complica nel caso dell’albo in cui spesso l’autore non è uno solo e in cui i linguaggi devono amalgamarsi perfettamente per riuscire a comunicare contenuti narrativi e poetici diversi ma rivolti allo stesso lettore immaginato.
Già perché se il testo funziona per un’età e l’illustrazione per un’altra che si fa? E se poi il tutto capita in mano ad un editor che non dà la giusta forma grafica?
Avremo un libro che non andrà da nessuna parte, che non raggiungerà davvero nessun lettore.
Un mittente che manda un messaggio confuso ad un destinatario immaginario che evidentemente non avevano immaginato bene e dunque ad un ricevente assente.
Il libro non vende e se nessuno lo legge possiamo spingerci a dire forse in questa prospettiva ricezionista, che è come se non esistesse.
L’ultima parte del lavoro è stata dedicata a vedere in che modo, senza competenze pregresse, gli studenti del corso interpretavano il lettore implicito nonchè quello reale di 3 tipi di albi che ho loro interamente letto.
Lupo e lupetto di Brune Cosme e Tallec, Clichy.  
 
Il concetto di dio, di Brenifier e Desprès, edito da ISBN.
 
e Il telefono senza fili, di Renato Moriconi, Gallucci. 
 
Tre albi evidentemente volutamente diversissimi tra di loro per tutto, accomunati solo dall’essere libri con le figure che ci hanno permesso di lavorare rapidamente, superficialmente dato il poco tempo, ma credo in maniera significativa sulle peculiarità e potenzialità della comunicazione affidata all’albo specie visto dal punto di vista delle teorie ricezioniste che dalla scuola di Costanza in poi hanno sempre più preso piede nella seconda metà del ‘900.
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