“La bambina, il cuore, la casa” di Marìa Teresa Andruetto

Se dovessi scegliere una sola parola per definire il libro che vi racconto stasera sarebbe:

spiazzante.

Spiazzante per la storia ma anche per il modo di narrarla.

Avete mai letto La bambina, il cuore e la casa di Maria Teresa Andruetto?

Beh, ditemi cosa ne pensate e se a voi ha fatto lo stesso effetto straniante.

Il racconto comincia con una panoramica, abbastanza tipica, degli spazi in cui si volgerà la vicenda fatta dal narratore in terza persona. Piano piano si entra nella routine della domenica di Tina che va in visita alla madre che abita distante. Tina ha 5 anni e vive con il papà. Sembra una famiglia separata “normale” in cui un genitore accompagna il figlio o la figlia dall’altro in visita, ma non è affatto così.
Tina a casa della mamma sta con il papà ed un fratello e la mamma e il papà non sono affatto arrabbiati o litigiosi, si baciano persino, si rattristano di doversi lasciare.
Eppure lo fanno sempre, ogni settimana.
La famiglia di Tina è logisticamente separata senza esserlo per davvero.

Mah, questione quasi incomprensibile…ma perchè non si può stare tutti insieme? Si chiede insistentemente Tina, e il lettore con lei.

Ma che razza di masochismo affettivo c’è in questa famiglia?

Ma a tutto c’è una spiegazione e molto ma molto in là con la narrazione Tina ci racconta (mentre lo racconta all’amica) che il fratello non è un bambino normodotato, ha gli occhi un po’ a mandorla ed è cagionevole di salute, la mamma deve badargli talmente tanto da non poter vivere anche con lei, Tina, e il papà.
Mah, il lettore a questo punto è basito almeno quanto la giovane amica, anche lei di circa 5 anni, di Tina che non si capacita di come si possa avere una mamma, persino un fratello, non avere genitori separati eppure vivere lontani.

Qualcosa deve essere successo in questa famiglia prima dell’inizio della narrazione, qualcosa di tragico che deve aver portato, forse anche giustificato o quanto meno reso al momento plausibile la soluzione della divisione del nucleo famigliare. Non ci è dato saperlo, gli elementi forniti sono pochi ma uno è il nucleo: agli occhi di una bambina non esiste elemento scatenante che possa rendere sensata la divisione del nucleo famigliare. Mai, nemmeno quando ci sono separazioni sacrosante e legittime, figuriamoci quando c’è di mezzo una relazione in piedi ed un fratello disabile!

Tina pare alla fine averla vinta, chissà, forse ad un certo punto la scelta di vita dei genitori, messa davanti all’ostruzionismo dei due fratelli alleati che non li vogliono separati, appare per un momento folle ai loro stessi occhi, o quanto meno non adeguata più alla situazione, se mai lo era stata, tentano di ricomporsi a pezzi, inizialmente i due fratelli insieme alla padre poi, forse, chissà. Il racconto finisce prima e lascia aperta una porta.

Cosa mi ha colpito di questa storia: innanzitutto la scelta narrativa, pacatissima, quasi distante ma mai fredda, solo così delicata da non permettersi mai di lasciar trapelare un giudizio. I fatti sono fatti, i bambini li interpretano diversamente dai grandi ma anche questo è un fatto.
Poi la storia che davvero lascia a tratti un po’ sconcertati e sicuramente straniati, straniti.

La bambina, il cuore e la casa è un libro sull’abbandono, su questo non c’è dubbio, e lo è senza mezzi termini, in maniera forte e netta prendendo alla stessa maniera netta partito a favore del punto di vista bambino, di Tina e, intuiamo, della mamma di Tina che era stata a sua volta abbandonata.

Questa bambina che corre incontro al padre si chiama Tina.

Un giorno crescerà.
Raccoglierà un ago da terra e con molto occhio infilerà nella cruna più grande di un cammello, tutti i fili della sua vita, la storia di sua madre e di sua nonna, e forse la storia della nonna di sua madre. Ne farà un gomitolo con dentro anche l’ultima donna che ha abbandonato o è stata abbandonata.
Quelle che conosce e quelle che si sono perse nella notte dei tempi.

Fine.
Così termina questo romanzo della Andruetto che non può che lasciare sorpresi, sospesi, direi.
Che si dice, che si fa di un racconto del genere?

Lo si racconta, si fa i conti con questa che è una storia che si porta dietro l’odore dell’argentina della scrittrice, del dolore di tutte le donne abbandonate dalla notte dei tempi. Di tutte le bambine e i bambini le cui domande di senso restano irrisolte.

Il testo del discorso pronunciato da Maria Teresa Andruetto in occasione dell’Hans Christian Andersen award vinto nel 2012 si intitola Per una letteratura senza aggettivi (come la raccolta di saggi della scrittrice edita da Equilibri ed è proprio questo che si può dire di questo libro, uno dei pochissimi editi in Italia: è pura letteratura. Potentissima come solo la grande letteratura sa esserlo.

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