Il narratore. Maggiordomo della comunicazione narrativa

Attenzione, oggi giorno di post teorico, torno sul luogo del delitto della comunicazione narrativa per soffermarmi un po’ sulla finzione nel narratore.

Chi è costui?

Beh, se fosse un giallo il narratore probabilmente potremmo personificarlo nel… maggiordono, tanto nel senso di colpevole (lo sanno tutti che nei gialli di bassa lega il maggiordomo è sempre il colpevole) quanto nel senso di servitore della narrazione.

Senza narratore non esisterebbero le storie.

Ok, ma chi o cosa, è il narratore?

Il narratore è quella funzione del testo che, assumendo un punto di vista definito a priori dall’autore reale, ci racconta una storia in un modo o in un altro. Il narratore insomma è ciò che fa la differenza in un libro e adesso vedremo il perché.

A seconda che l’autore scelga di raccontarci una storia dall’interno, assumendo il punto di vista di uno o più personaggi, o dall’esterno, con un punto di vista onnisciente (ovvero che sa già tutto, sa già come andrà a finire la storia) o, ancora, dall’esterno, ma con un punto di vista parziale, che non ci anticipa nulla, non ci spiega e non giudica l’azione, la storia cambia completamente.

Facciamo degli esempi:

narratore interno: esempio che mi viene perfetto per questo tipo di tecnica è il nuovissimo (in Italia) Voci nel parco, albo illustrato di Antony Brown edito da Camelozampa. In questo racconto la stessa passeggiata al parco viene narrata da 4 personaggi ed ogni volta ciò che emerge dal racconto è completamente diverso: la mamma rabbiosa, il bambino annoiato, il papà depresso e la bambina gioiosa vedono il parco in maniera diversa. Cambia non solo il racconto ma, essendo Brown anche l’illustratore di se stesso, cambia la forma e il colore delle nuvole e del cielo, la forma degli alberi, cambiano le ombre. Per evidenziare questo gioco di punti di vista le 4 voci narranti sono caratterizzate anche graficamente con la scelta di 4 font (caratteri tipografici) diversi.

 

 

 

Proviamo a pensare per un attimo ad un albo fatto solo di una di queste 4 voci. Concentriamoci. Ne nascerebbe un’altra storia, tutto cambierebbe, saremmo invitati ad entrare in un solo punto di vista e tutto apparirebbe secondo quella sola prospettiva di cui, come lettori, diventeremmo parte integrante. Narrazione interna a focalizzazione interna.

Chi sceglie questo tipo di narrazione avrà certamente più limiti da tener presenti ovvero quelli delle possibilità reali e logiche dei propri personaggi. I tempi ed i luoghi ecc. dovranno essere calcolati in base alle reali possibilità e capacità fisiche del proprio personaggio.

 

narratore esterno (ma non onnisciente): penso, per esempio, a Il giardino dei musi eterni di Bruno Tognolini in cui chi racconta è una voce esterna che vede tutto e che ci racconta quello che anche noi potremmo vedere se fossimo lì, ma come spettatori, non come autori, avendo cura di non anticipare mai cosa accadrà per non toglierci il gusto della scoperta (aggiungo tra parentesi che nel genere giallo, a cui questo romanzo in parte si rifà, così come in tutti i generi letterari basati sulla suspance il narratore non può mai essere onnisciente).

Il narratore cerca una qualche forma di oggettività per metterci davanti ad una scena e lasciare che l’interpretazione sia nostra. L’autore sceglie questo tipo di narrazione quando vuole dare un quadro ampio, forse in questo caso, per aiutare il giovane lettore a districarsi in un mondo e in un luogo sconosciuto, con regole interne ignote e che se narrate attraverso l’esclusivo punto di vista di un personaggio risulterebbero forse più ostiche da individuare. Si entra nel punto di vista dei personaggi con il dialogo, con il discorso diretto, ma la linea narrativa la tiene il narratore esterno. Ecco un esempio di un brano che amo moltissimo, l’arrivo dei giganti della pioggia, l’effetto quasi cinematografico è esattamente ciò che è solo il narratore esterno non onnisciente può fare.

La mattina del mercoledì arrivò la pioggia.
Ginger se ne andava a passettini nel vento per il Giardino, scambiando cenni segreti d’intesa con qualche cane o gatto della Ficcamusi di ronda in incognito, quando vide le prime gocce. Ma prima di vederle, con sua grande sorpresa, le sentì.
Non le sentì picchiettare e scivolare sulla folta pelliccia, come quando era viva: le sentì dentro. Sentì che l’attraversavano, che bucavano tutto il suo essere fatto di aria, ma non come aghi e chiodi: come vento che passa fra i rami, come carezze. E facevano un bellissimo solletico. Ginger cominciò a ronfare con diletto, e rendendosi conto solo allora che era la prima volta, da quando era lì nel Giardino, che faceva le fusa.
Si guardò intorno: quasi tutti gli Àniman erano in giro, avevano lasciato le loro occupazioni o sonni o chiacchiere, e si esponevano beati alla pioggia come se fosse al sole, ronfando o gonfiando le piume o scrollandosi a seconda che fossero gatti, uccelli o cani. E ogni tanto qualcuno faceva un salto nell’aria e… spariva!
Ma che mistero era? Voleva proprio vedere dove andavano a…
«Ehi! Che fai!»
Un vecchio cocker aveva preso a scrollarsi accanto a lei, e gli spruzzi d’acqua dalle lunghe orecchie pelose vorticanti esplodevano intorno come una bomba di diamantini rotti, inondandola tutta. Seguendo quella fionda di luce la gatta guardò in alto… e s’impietrì.
Forme viventi immense fatte di pioggia si muovevano, lente e altissime, fra la terra e le nubi. Figure giganti composte soltanto di gocce, che scintillavano di lampetti cristallini, miriadi di perline trasparenti che muovendosi, avvicinandosi, allontanandosi, formavano i corpi di luce di cani immensi, gatti titanici, uomini e alberi e fiori.
«Ma… cosa… cosa è questo?» chiese Ginger stupefatta a nessuno di preciso, con gli occhi fissi al cielo. Un colossale cervo di gocce d’argento si girò verso di lei, o così le parve. Poi si rivolse altrove e piegando le zampe spiccò una lentissima corsa. Un uomo di pioggia alto fino alle nubi attraversò il giardino con lento passo: le sue gambe scrosciarono una dopo l’altra come nembi di pioggia più intensa intorno a lei.
«Sono i Giganti della Pioggia» disse il cocker. «Non li avevi mai visti?»
«No! Ma… cosa sono, da dove vengono?»
«Mama Kurma dice che è la Memoria dell’Acqua» rispose il cane, col muso puntato in aria. «Che tutte le forme viventi son fatte d’acqua, cioè… più d’acqua che d’altro. E che l’acqua… almeno così ho capito io… si ricorda di tutte le forme».
In quel momento passava in cielo, galoppando al rallentatore, un immenso cane fatto di gocce brillanti che assomigliava vagamente a Orson, e che parve volgersi a lei con un sorriso. Ginger lo guardò disorientata, poi domandò:
«Le forme viventi?»
«Sì. Tutte le forme di vita che prende e che ha preso, quando piove l’acqua gioca a ricordarle. Ma solo noi Àniman, che siamo anche noi forme di vita passate e presenti, possiamo vederle. E non solo vederle: guarda!»
Il vecchio cane dalle lunghe orecchie spiccò un salto, e qualcosa di strabiliante accadde sotto gli occhi della gatta: quel salto si prolungò, in alto, sempre più in alto, e al tempo stesso il corpo Àniman del cane si ingigantiva, s’inargentava, esplodeva in un miliardo di gocciole, senza perdere la sua forma… Finché fu un cocker immenso, fatto di pioggia, che torreggiava nel cielo grigio. Si volse in basso verso Ginger, disse qualcosa che lei non sentì, e infine spiccò una corsa al rallentatore potente e festosa, scomparendo in breve tempo nella pioggia.
La gatta fece un respiro profondo, e una cascata di goccioline solleticanti la attraversò, con una semplice idea gioiosa: ‘Ma allora anch’io!’
Spiccò un gran salto, salì nell’aria e al tempo stesso crebbe, esplose in gocce, immensa, luminosa, e anche lei fu infine pioggia nella pioggia.

 

narratore esterno onnisciente: penso, stando nei libri per bambini e ragazzi, a Una bacchetta magica di Antonio Koch e Gwénola Carrère edito da Topipittori. In questo albo il narratore non solo è esterno e sa già tutto ciò che accadrà ma giudica, spiega, interviene.

“Com’è possibile?, direte voi?
Oh bella: è l’amore”! Rispondo io.
A dire la verità, solo l’amore no.
Ma questo è un discorso lungo
e voi siete troppo piccoli per capirlo…”

 

Nella nostra letteratura contemporanea sicuramente il narratore onnisciente ha perso terreno rispetto all’assoluta predominanza che ha avuto sino all’Ottocento. Il Novecento è stato, e il nuovo millennio sin qui lo è all’ennesima potenza, il secolo del soggetto, della soggettività, della relatività. Quello che di cui il lettore ha bisogno è scoprire e ritrovare se stesso, venire assorbito entrando nella narrazione e questo raramente un narratore onnisciente sa farlo bene. La narrazione onnisciente invece può avere un senso importante, anche nei libri per ragazzi, ad esempio, perchè può diventare parte del meccanismo che scatena l’ironia, come nell’esempio della bacchetta magica, oppure la fa ancora da padrone nella narrazione delle fiabe. Vi ricordate le Fiabe sonore della Fabbri? Quelle “A mille ce n’è”? Ma sì che ve le ricordate! Ecco, in quelle fiabe ad esempio c’è una forma di teatralizzazione del narratore esterno onnisciente che è un capolavoro, è il cantafiabe, il saltimbanco. La più divertente in questo senso, secondo me, è fata piumetta in cui il narratore addirittura dialoga con un principe tonto e l’effetto è esilarante.

Il narratore esterno onnisciente nel caso della narrazione delle fiabe, ad esempio, ha anche il senso di smorzare ciò che accade, di farcelo sentire meno forte, più lontano, e di generare, in questo modo, meno angoscia nel lettore. Immaginate la vita di cenerentola narrata con un punto di vista interno, sarebbe angosciosissima, o quella dei sette capretti….

A seconda del tipo di narratore che si sceglie, dunque, il risultato sarà completamente diverso.

La scelta del tipo di narratore non è e non può essere secondaria, ma deve essere una scelta che l’autore reale fa a priori con assoluta consapevolezza dell’effetto che vuole ottenere nel lettore reale.

La difficoltà che si può riscontrare nell’individuare che tipo di narratore ha una storia deriva dal fatto che nel linguaggio comune autore e narratore tendono a coincidere e invece almeno una parte dell’autore (quello implicito) e il narratore sono funzioni del testo, funzioni della finzione narrativa e come tali vengono creati ad hoc dall’autore reale.

Autore reale   [ Autore implicito  → narratore → racconto → (narratario) →  Lettore implicito ]  lettore reale

Ciò che è in rosso rappresenta la funzione del testo, ovvero cosa e come l’autore (reale) decide di scrivere per arrivare al lettore (reale).

Ok, a che serve tutta questa teoria?

A comprendere come funzionano i testi e quindi a poterne valutare la qualità.

Ma tutti gli autori hanno consapevolezza piena di questi aspetti teorici?

No, non tutti ma chi è pienamente autore se non ha una competenza teorica ha una assoluta pratica di uso degli strumenti alla sua portata. L’autore sa esattamente che tipo di voce è meglio scegliere per ottenere un effetto o un altro. Forse non ve lo spiegherà con i termini scelti dai narratologi ma che importanza ha? Fa il suo mestiere utilizzando i propri strumenti al meglio.

Chi non ha nessuna nozione, né teorica né pratica, di come manipolare la comunicazione narrativa, non è un autore.

Capito adesso perché la questione mi sta così a cuore?

Grazie a chi ha resistito sin qui!

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