Che cos’è la letteratura ovvero sorpresa e riconoscimento

There are two kinds of taste in the appreciation of immaginative literature: the taste for emotion of surprise and the taste for emotion of recognition.

Henry James

Sorpresa

Riconoscimento

 Il post di oggi è dedicato a questi due aspetti che emozionano l’anima del lettore in quanto lettore.

Ho trovato questa citazione in apertura di un capitolo di Meraviglie mute, il saggio di Marcella Terrusi dedicato ai silent book edito da Carocci, 2017; l’autrice non specifica la fonte bibliografica quindi purtroppo non ve la so dire, ma questa frase di James (scrittore per altro che adoro) oggi mi ha sorpresa e tenuta a sé così che ho deciso di dedicare questo post al suo senso che sottende, in due parole, tutto il senso reale e simbolico della scrittura letteraria, della letteratura (e volutamente non metto aggettivi).

La sorpresa è, lo sappiamo tutti, quell’emozione, o forse quella reazione, che coglie l’essere vivente ogni volta che una situazione evolve in un modo non previsto dalla logica “semplice”. Ci sorprendiamo quando pensiamo che una cosa debba proseguire, evolvere, in un certo modo ed invece accade qualcos’altro. La sorpresa riguarda anche gli animali, naturalmente, i quali ragionano probabilmente con una logica legata all’esperienza pregressa e vengono sorpresi dallo scarto da essa. Ci sorprende tanto qualcuno che si nasconde ed esce per farci “BU!!”, quindi una persona che conosciamo in un contesto che conosciamo ma che devia dall’atteso; quanto un qualcosa che proprio non avremmo potuto immaginarci. La sorpresa secondo me può essere vox media, ovvero non essere caratterizzata in senso positivo o negativo; non so se siete d’accordo con me ma un evento inatteso, anche se negativo, penso alla letteratura ma anche alla realtà in qualche modo, ci sorprende alla stregua di uno positivo. 

Attenzione: la sorpresa gioca su un tempo breve, lo scarto dalla norma, per poterci sorprendere, per sortire questo straordinario effetto, deve durare poco e poi rientrare nel sentiero battuto dell’atteso. Persino in un contesto dato assurdo, penso al fantasy ad esempio,  grazie alla sospensione dell’incredulità possiamo rientrare nella routine in pochissimo tempo e i meccanismi sorprendenti rispondono alle stesse regole degli altri contesti. E’ come al cinema, il colpo di scena (che punta a sorprenderci) arriva e si scioglie in breve tempo altrimenti non sarebbe efficace. 

Provare sorpresa è un’emozione bellissima ed è, a mio avviso, l’emozione, direi proprio la capacità, che più caratterizza i bambini rispetto agli adulti. Chi incontra le cose e le situazioni per la prima volta prova di frequente la sorpresa della scoperta, certo le strutture logiche e le cognizioni spazio-temporali si vanno man mano sviluppando (e questo è il motivo per cui è molto più semplice che si sorprenda un bambino piccolo piuttosto che uno grande), tuttavia chi è ancora giovane al mondo è meglio disposto a lasciarsi sorprendere. 

Pensiamo invece alla fatica di sorprendere un adulto! Ma cosa bisognerà mai inventarsi per riuscirci! La letteratura ce la fa, inventando mondi e realtà infiniti governati da logiche e sorprese infinite in cui tutti, ma proprio tutti, possono trovare quello che fa per loro.

Il riconoscimento è in qualche modo l’antitesi, l’opposto, della sorpresa. Quando una cosa la riconosco di sicuro non mi sorprendo. Se la sorpresa vive nel tempo breve, il riconoscimento è il tempo lungo. E’ a lui che dobbiamo la nostra vita quotidiana, le nostre sicurezze e dunque la nostra sanità mentale. Se non fossimo sicuri della strada che facciamo ogni giorno uscendo di casa, se non sapessimo cosa aspettarci da ogni semplice gesto non potremmo affatto vivere, crollerebbe la fiducia nel mondo e non riusciremmo nemmeno a definire la nostra stessa identità. Senza un contesto in cui collocarsi e a cui fare riferimento non potremmo collocarci come singola identità.

Non solo del riconoscimento non possiamo fare a meno, ma esso è anche l’elemento senza il quale non potremmo sorprenderci. Quale scarto potrebbe mai colpirci se non ci fosse una norma, un sentiero tracciato a priori? 

Attenzione: il riconoscimento non è necessariamente realistico e concreto. Possiamo riconoscerci in qualcosa o in una situazione ecc. anche per affinità, per simbolo, ovvero simbolicamente. Non è solo e non è tanto il richiamo al reale in forma realistica che ci fa sentire tranquilli e riconoscerci in noi stessi ed in una situazione, bensì l’appartenere ad una logica che so riconoscere ed in cui mi riconosco; il corrispondere ad una similitudine con ciò che conosco e mi è familiare. Anche in un fantasy con i draghi, gli orchi e gli elfi posso riconoscermi e riconoscere la realtà, decisamente camuffata, ma è lì a darmi una nuova chiave di lettura.

Per un bambino molto piccolo, evidentemente, il riconoscimento è non solo fondamentale ma fondante della propria identità, del suo stesso riconoscersi come creatura indipendente dalla mamma e collocata in un luogo e in un tempo. Per questo per i piccolissimi sono fondamentali i libri che nominano le cose note, che mimano la routine quotidiana, che grazie a personaggi affidabili benché inventati riconoscono nelle storie i propri sentimenti e le proprie esperienze. Man mano che l’età, i mesi in questo caso avanzano, si può e si deve sempre più introdurre anche narrazioni che contengano la sorpresa, la variante, lo scarto perché si possa scoprire che dentro di sé così come nel mondo ci sono infinite possibilità d’essere e, tra queste, collocare se stessi. Già negli albi illustrati per bambini dall’anno e mezzo in su si trova l’introduzione della sorpresa, spesso viene presentata in forma anche paurosa, di spavento momentaneo che si scioglie e si risolve, ma deve intervenire a spezzare la routine del riconoscimento.

Ora, è vero, come dice James, che ci sono due elementi, due gusti uno spostato verso la sorpresa ed uno verso il riconoscimento; ma è ancor più vero che ogni, e davvero OGNI, narrazione è un equilibrio calibratissimo tra sorpresa e riconoscimento che l’autore dosa con assoluta maestria a seconda dell’effetto che vuole ottenere nel lettore. E questo effetto non dipende solo dal “genere” letterario o dal contenuto della narrazione, bensì anche dal lettore reale per cui scrive e alla sua età.

Dunque? La scrittura non è un vortice che prende come in uno stato di trans lo scrittore che scrive per volontà divina? Beh, pare che Coleridge (lo stesso per altro a cui si deve la locuzione “sospensione dell’incredulità se non erro) abbia scritto il suo Kubla Khan sotto l’effetto di non pochi fumi d’oppio, tuttavia NO.

Lo scrittore non scrive per dote divinatoria ma per tecnica narrativa.

Siamo noi lettori che, se il testo è scritto bene, leggiamo come se fossimo irrimediabilmente trascinati da una corrente!

Che cos’è la letteratura?

Semplifichiamo mettendola in un’equazione?

La sintesi di due testi, come tutto il resto della realtà, direbbe Hegel:

sorpresa vs

riconoscimento=

letteratura

                       sorpresaRisultati immagini per triangoloriconoscimento

L’illustrazione di apertura è di Daniel Iride Murigia da L’attesa edizioni corsare. L’ho scelta per questo tema perché la sua tecnica mi pare giochi con le immagini proprio sull’equilibrio precario che governa il rapporto tra sorpresa e riconoscimento ammiccando al surreale e portandoci sempre in un mondo dolcissimo altro.

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