L’illustrazione. Qualche questione teorica

Una delle passioni e degli argomenti su cui teste fiorite lavora di più, via blog e soprattutto dal “vivo” è l’albo illustrato.

L’unione simbiotica, la commistione, la coesistenza di parole e immagini mi affascina e mi interroga su come funzioni la loro costruzione.

Il mio ambito di studi e di ricerca è sempre stato quello delle parole e le immagini mi interessano soprattutto nel loro farsi narrazione, quindi per il loro potere narrativo. L’illustrazione per gli albi illustrati è un’illustrazione speciale, che deve convivere e fare i conti con la scrittura, non può mai essere fine a se stessa o criptica o metaforica altrimenti diventa incomprensibile nel contesto narrativo.

La narrazione per gli albi ha delle regole precise di tipo compositivo con le quali l’illustratore DEVE fare i conti. Ma, ci sono delle altre regole non scritte o almeno delle altre “cose” che un illustratore deve tener conto quando illustra una storia?

Per gli illustratori esiste una consapevolezza e un rapporto con il lettore implicito (ovvero il teorico destinatario dell’opera)? E se esiste, in che forma si manifesta?

Mi spiego meglio così mi aiutate perché vorrei davvero capirci qualcosa di più e chiamo a raccolta tutti gli illustratori che abbiano voglia di ragionare con me su questo punto.

Quando si decide di scrivere un testo lo scrittore deve aver presente almeno le basi della teoria che sottende la comunicazione narrativa, la quale comprende un lettore reale (lo scrittore), un autore implicito (l’idea che il lettore si fa dello scrittore), un lettore implicito (l’idea che lo scrittore si fa del lettore) e un lettore reale. In mezzo a tutto questo c’è il messaggio, ovvero il testo che è stato costruito tenendo conto di tutti gli attori in gioco appena ricordati.

Quando un illustratore lavora ad un testo iconografico ha per le mani, appunto, lo stesso messaggio, è lui stesso l’autore reale e il suo libro, si spera, incontrerà un lettore reale, ma che fine fanno, in questo contesto creativo gli altri due protagonisti della comunicazione: autore implicito e lettore implicito?

Semplifico: quando un illustratore illustra un testo ha come riferimento un ipotetico lettore implicito che sa di poter raggiungere affinando alcune frecce piuttosto che altre del suo arco, oppure no?

L’altro giorno ragionavo di questo con un caro amico illustratore che fatica a riconoscersi e ad adeguarsi ai parametri richiesti, ad esempio, dal mondo editoriale. Illustrare un libro per un lettore di 3 anni o di uno di 8 o di 12 è la stessa cosa? Decisamente no, ma l’illustratore, specie se poi è anche autore del testo, quando crea il libro tiene conto, ad esempio, anche dell’età del suo pubblico o crea e poi valuta a posteriori?

Indubbiamente per alcune fasce d’età ci sono dei parametri da rispettare, ad esempio per i piccolini gli sfondi uniformi, i disegni netti e i pochi oggetti in campo ecc ecc., ma per le altre?

Accade forse che ogni autore sente di appartenere ad un tipo di illustrazione piuttosto che ad un’altra e che quindi lavori prevalentemente per libri che si indirizzino ad un certo pubblico (reale), ma che succede se abbiamo a che fare con uno stile, una tipologia compositiva che non si lascia immediatamente riconoscere e ingabbiare nei canali previsti?

D’altra parte quello dell’età dei libri è una questione annosa e talvolta oziosa che tuttavia credo nessuno degli autori o illustratori possa evitare d’amblé.

Anna Castagnoli ha messo a punto una sua teoria sui tipi di stile e in qualche modo sulla loro afferenza alle tipologie narrative  e questa potrebbe essere  indubbiamente d’aiuto se volessimo non dico tentare una categorizzazione ma, quanto meno, cercare una traccia orientativa. Ma nel campo della creazione iconografica forse c’è ancor più libertà (condizionata) che nel campo della scrittura, e allora?  Dov’è il confine tra libertà stilistica e consapevolezza narrativa e compositiva?

Illustratori e illustratrici quando illustrate vi ponete mai la questione del vostro lettore implicito?

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