Come parlare ai bambini

Da Tararì Tararera, Emanuela Bussolati, Carthusia, albo in linguaggio Tararì.

Quante parole avete usato o state usando per comunicare con i vostri piccoli piccolissimi bambini? Anche con quelli che sono nati solo da pochi giorni?

Se non ne avete la più pallida idea tranquilli, siete nel range delle persone “normali”, nessuno conta generalmente le parole che usa anche se… a Providence (il nome è già tutto un programma), capitale del Rhode Island nel New Englend, stanno provando per davvero a contare tutte le parole che si usano per comunicare con i bambini dalla nascita fino ai primi anni di vita. Dotano le famiglie di un piccolo registratore sempre attaccato al bambino ed una volta alla settimana sbobinano tutto. A che scopo? E’ presto detto: dimostrare che il gap sociale e quindi culturale economico e chi più ne ha più ne metta si può contare in 30 milioni di parole.

Ora, lasciate perdere le varie obiezioni o considerazioni che possono essere fatte sul monitoraggio delle famiglie, l’idea che però sta alla base della ricerca mi pare però interessante e nella sua semplicità quasi geniale (come spesso accade), gli ha dedicato un paginone persino il quotidiano “La Repubblica” il 16 gennaio scorso. Per indagare dove nasce lo svantaggio iniziale delle “classi sociali” si va all’inizio, per l’appunto, alla nascita, al fine di provare che la povertà di vocabolario è direttamente proporzionale alla povertà materiale. E’ per questo che bisogna puntare il tutto e per tutto sui bambini, e sui bambini delle fasce della popolazione disagiata o emarginata ancora di più, perché da adulti diventino cittadini a cui tutti gli scenari siano aperti, che nella società in cui sono cresciuti non per loro scelta si sentano parte integrante. Se pensiamo che il problema non ci tocchi allora credo che per molto tempo a venire avremo sempre più problemi di terrorismo e sommossa dei sobborghi in un mondo sempre più, fortunatamente, multietnico e colorato.

Non è utopia ma un vero servizio sociale” diceva Munari e oggi finalmente un pezzettino di scienza gli a dietro!

Progetti come quello di Nati per leggere sono fondamentali per arrivare in tutte le famiglie, perché almeno un libro porti parole nuove e corrette, perché il lessico si arricchisca; quanto alla parola orale è interessante notare come la ricerca del new england sta rilevando già che gli adulti nelle prime settimane si sforzano di utilizzare il linguaggio nella maniera più corretta possibile sulla spinta della “spia” attaccata al loro bambino, ma poco dopo il proposito si esaurisce ed il linguaggio torna ad impoverirsi. Forse perché crediamo che per bimbi così piccoli non ne valga la pena? Francamente non credo, qualunque genitore tenterebbe di fare il massimo per il proprio figlio. Penso piuttosto che non si abbia piena consapevolezza, o non si sia del tutto convinti, nonostante ormai non si faccia che ripeterlo in ogni lingua, che le parole, scritte ed orali, fanno crescere il bambino a livello cognitivo, linguistico, emotivo e aggiungerei a questo punto anche, sociale, come e in alcuni casi più del cibo. Basta così poco? Sì, in parte sì, eppure forse non è tanto poco se la spinta si esaurisce presto… parlare e leggere richiedono sforzo, competenza e regolarità, queste sì che sono caratteristiche difficili da corrispondere e mantenere nel tempo!

Insomma, basta con il baby-talk, ai bambini si parla meglio che agli altri adulti, in maniera semplice ma non semplificata, loro possono ancora imparare ed aprirsi nuovi mondi di linguaggio e non solo! Si usano aggettivi, descrizioni e con dolcezza di correggono le storpiature talvolta esilaranti delle parole (a meno che non siano quelle scelte per il vostro lessico familiare emozionale), non si ripetono le parole come le pronunciano loro per farsi capire. Le immagini o i luoghi possono aiutare la memoria del bambino a legare parola e significato così come la pronuncia lenta e corretta aiutano ad assimilarla. Siamo noi che a volte non capiamo il bambino che inizia ad articolare suoni e parole, assai raro è il contrario!

Basta con libri sotto-dimensionati alle reali necessità e competenze cognitive dei bambini.

Via libera invece alla lingua “grammelot” quella che ogni bambino inventa per cercare la propria lingua nel mondo, d’altra parte la prima forma di linguaggio è quello onomatopeico, non per niente il suono della parola mamma è uguale in tutte le lingue del mondo!

A titolo puramente indicativo ecco le prime tappe del linguaggio nei primi due anni:

2-4 mesi: primi vocalizzi

6 mesi: fase della lallazione, emissione di sillabe a prevalenza labiali (mamma per intenderci ha dentro 3 labiali!

9 mesi: si comprendono le prime parole

12 mesi: si pronunciano le prime parole e si compiono i primi passi

18-20 mesi: il bambino possiede diverse parole, 50-80 sono solitamente quelle che definiscono cose interessanti per il bambino

24 mesi: si articolano più parole insieme con un vocabolario di circa 200 lemmi.

p.s. Se vi interessa il progetto Lena lanciato dall’ex sindaco (capito? Il sindaco perché non sembra, a noi in Italia soprattutto, ma questa è una questione politica non roba da chi si occupa di bambini per filantropi!) di Providence tutto qui.

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