Silent book
A chi si danno i silent book? Come si usano? Come si leggono?
Qualche giorno fa avevo dedicato una piccola riflessione sul silent book come ossimoro (che potete rileggere anche qui), oggi però, come promesso torno sul tema per vederne i precipitati e i risvolti pratici sperando possa essere utile per fare chiarezza e rapportarsi ad una tipologia di libro e albo illustrato a cui spessissimo gli adulti dichiarano di non sapere da che parte prendere.
Gli adulti appunto. Forse basterebbe dare un libro senza parole ad un bambino o un ragazzino e potrebbe svelarci un mondo di parole e di racconti nascosti e svelati dalle illustrazioni; i destinatari di questi albi sono ancora una volta i più adatti a comprenderli e valutarli, tanto più che entriamo in un ambito, quello del linguaggio visivo (iconografico o grafico che sia) che loro per tanti motivi sono portati a cogliere meglio e prima di noi.
Innanzitutto il silent ha la caratteristica di “piegarsi” ad ogni età, ogni età ed ogni lettore gli darà parole e letture diverse, anche un bambino piccolo che ancora non sa leggere potrà provare a tutti gli effetti l’emozione di farlo. Certo ci sono albi senza parole la cui tipologia di illustrazione in qualche modo ci dà anche un’indicazione di età più o meno appropriata, ma tendenzialmente diciamo che il linguaggio di questi libri può attraversare età, lingue, culture, competenze diverse e di ogni genere. Interessante e significativo notare che Ibby Italia ha scelto proprio i silent per il suo meraviglioso progetto della biblioteca per ragazzi a Lampedusa: “Libri senza parole: dal mondo a Lampedusa e ritorno”.
libri senza parole che, affidando il racconto alle sole immagini, riescono ad annullare ogni barriera linguistica e culturale. Libri particolarmente adatti a stimolare e facilitare l’incontro tra bambini di origini diverse e, al tempo stesso, utili per gettare solide basi per l’apprendimento di un vocabolario delle immagini, veicolo privilegiato nel mondo della comunicazione globalizzata.
I silent inoltre possono aiutare lo sviluppo delle capacità inferenziali del bambino poiché la mediazione iconografica facilita la deduzione di legami e conseguenze logiche che le illustrazioni suggeriscono ma non indirizzano in nessun modo lasciando quindi ogni spazio interpretativo e di lettura possibile. I rimandi nelle figure sono forse più immediatamente percepibili, anche a livello inconscio, delle inferenze legate alla narrazione scritta con tutti i suoi nessi linguistici.
A chi si danno dunque gli albi senza parole? A tutti, indistintamente, anche a bambini piccolissimi, anche a bambini che non parlano la nostra lingua!
Qua però subentra il problema: siccome per l’adulto il silent è una sorta di scacco matto solitamente si trova in difficoltà nel proporlo…e allora come si usa questo benedetto libro che tanto libro poi non ci sembra? Ci sono due possibilità: narrarlo dando sfogo a tutte le parole che le illustrazioni possono suggerirci, dando vita di volta in volta a parole diverse a seconda del lettore, del momento, dello stato d’animo, dell’età ecc. ecc. Oppure lasciare che il silenzio sollevi i commenti degli osservatori, dei bambini e ragazzi di fronte alle sole immagini. E’ probabilmente vero che questo tipo di albi si prestano meno ad una lettura ad alta voce (che in questo caso suona quasi come una contraddizione in termini) e “funzionano” meglio nel rapporto tra bambini o nella relazione duale comunque nell”interazione con piccoli gruppi.
L’albo senza parole dunque non ha nemmeno una parola, al massimo qualcosa che viene dall’esterno per darci la misura dello spazio in cui inabissarci nell’osservazione perché ogni elemento linguistico aggiunto condiziona la lettura e l’interpretazione della storia. E’ per questo, ad esempio, che secondo me quel capolavoro che è l’albo Gli uccelli (Topipittori di cui avevo già parlato in parte qui) pur essendo per metà libro totalmente privo di parole non può essere considerato un silent book perché nel momento in cui la lingua interviene agisce pesantemente sul significato della storia, la indirizza dove giustamente vuole l’autore e non dove probabilmente ci porterebbe la nostra lettura “silenziosa”. Caso diverso mi pare invece quello di Ombra di Susy Lee, Corraini, in cui ci sono ben 5 parole in tutto ma non mi pare vadano ad interferire con il “silenzio” del libro. Le parole che sono esplicitate, cioè i due “click” all’inizio e nella penultima pagina del libro di quando la bambina accende e spegne la luce, e il richiamo esterno di una voce fuori campo che avvisa che la cena è pronta, non aggiungono né tolgono niente alla nostra lettura immaginifica di ciò che accade alle ombre ed alla bambina. All’autrice non interessa tenerci nascosto il contesto, per altro molto esplicito in apparenza, bensì farci perdere in ciò che accade dopo che il sipario è stato aperto dai due “clik”. L’ intervento della voce fuori campo dà l’occasione alla narrazione di uscire da se stessa, di concluderla apparentemente e di farla continuare a sipario chiuso.
Susy Lee, Ombra, Corraini. L’infrazione del silenzio. |
Come accade anche negli altri silent di Susy Lee (tutti editi da Corraini, Onda e Mirror) linguaggio grafico e iconografico si compensano e diventano indivisibili, la scelta, ad esempio, nell’Onda di far letteralmente sparire, o meglio di non rappresentare, pezzi di mare o di personaggi come la bambina e i gabbiani, corrisponde ad una precisa scelta: i “pezzi mancanti” sono in uno spaziotempo non percepibili risucchiati nel punto di legatura tra le due pagine. I mondi delle due pagine restano per un bel pezzo separati fino al punto in cui la bambina e il mare diventano un’unica cosa e all’uno è consentito di “debordare” nello spazio fisico (la pagina) dell’altro e viceversa.
E gli schizzi? |
La ricomposizione, mare e bambina in un tutt’uno per giocare insieme. |
Difficile? Forse un po’ concettoso da spiegare ma non certo complesso da percepire visivamente per un bambino, se noi adulti ci accorgiamo probabilmente solo alla ventesima rilettura dei “pezzi risucchiati” al centro della pagina e probabilmente evitiamo di porci il problema del loro significato, un bambino se ne accorge e ne da una sua lettura, forse non implicita ma immediata perché il suo occhio è fatto per i dettagli e questo genere di albi lo abitua tanto alla cura dell’attenzione per il dettaglio quanto alla capacità di aprire lo sguardo all’insieme seguendo quell’unico dettaglio che si va modificando con implicazioni inferenziali assimilate direttamente proprio grazie all’assenza della parola.
Arriviamo all’ultima domanda: come si leggono i silent boook? Con gli occhi e con la mente più che con la parola, e possibilmente con un bambino o ragazzino che ci apra la strada al mondo dell’immagine!