“Il drago come realtà”: il potere della narrazione contro ogni totalitarismo mentale
I blog di Teste fiorite torna oggi a scrivere dopo un terribile week end di paura, che non è un posticcio titolo da film horror anni Sessanta ma una storia vera che già più volte negli ultimi tempi ci stanno raccontando.
Tornare a scrivere dopo l’attacco a Parigi di venerdì sera; scrivere dalla città in cui non tornerà più Valeria Solesin, la ragazza restata uccisa in uno degli attentati, non è semplice e mi è parso giusto che il blog subisse un sussulto di silenzio per questo. In parte ho deciso ed in parte è accaduto che i giorni siano passati senza che questo blog desse segni.
Oggi però si ricomincia, perché peggio il mondo va più mi convinco che la cura e l’attenzione alle menti in fiore e ai pensieri grandi dei bambini sia la sola e possibile soluzione e via di pace praticabile per il futuro. Cerco oggi più di sempre, come Antonio di A che pensi (Orecchio acerbo), le parole giuste per non ricominciare a scrivere come se nulla fosse, come se tanto il blog registrasse solo le presenze e non le assenze, per tornare ad ascoltare con orecchio acerbo anche i discorsi peggiori.
Oggi si riprende non dalla fantasia bensì dalla realtà, o meglio, dal fantasy in cui il drago è l’unico modo possibile di raccontare la realtà e di vincerla, qualunque orrore vi accada.
Il drago come realtà di Silvana De Mari, edito da Salani, è un saggio critico sulla letteratura di genera fantasy a dir poco sorprendente la cui lettura davvero cambia il punto di vista, e non solo sul fantasy. Un saggio denso, interessantissimo e scritto davvero bene come molto ma molto di rado accade e siccome vi si trova anche una lettura della politica del terrore che in questi giorni ci perseguita è esattamente oggi il momento giusto per raccontarvelo.
Silvana De Mari, vale la pensa precisarlo subito perchè l’inizio del saggio è davvero spiazzante in questo senso, è un medico ed una psicoterapeuta oltre che una delle maggiori autrici di fantasy italiane, leggerla ragionare. in una lingua e retorica mirabile, di serotonina, neurotrasmettitori e cervello corticale rettileo (ovvero in comune con i rettili) per spiegare come e perché le storie sono vere, ma soprattutto come fanno le narrazioni ad avere la forza di aggregare intere nazioni e consolidare gruppi sociali è incredibile. Vi dico solo che un capitolo si intitola “Neurobiologia del miracolo, dell’effetto placebo, dell’ipnosi e dell’ascolto di fiabe”….il punto di vista che la De Mari usa è quello dell’analisi dei processi mentali, neurologici che si attivano durante la lettura e l’ascolto per decifrare la risposta fisiologica e al tempo stesso psicologica che ogni narrazione è in grado di produrre. Vi assicuro che se la seguirete nel suo ragionamento ad un certo punto vedrete tutto chiaro, vi impressionerà la potenza delle narrazioni e ogni conto sembrerà tornare, io ci sono caduta in pieno, in realtà alla fine mi è parso che alcuni pezzi del ragionamento non filassero perfettamente, in tutto questo manca qualcosa anche se non sono in grado di definire che cosa tuttavia la fascinazione di questa metodologia di ragionamento è grande.
La fantasy, a differenza di tutti gli altri generi, è la sola forma di letteratura che ci può, secondo la De Mari, raccontare la realtà sotto forma di orchi, streghe, elfi e orfani, dirci tutta la verità sulla morte, le persecuzioni, i genocidi, le crociate dei bambini e le pestilenze che hanno decimato e modificato il genere umano. L’unica, si fa per dire, differenza, è che nel fantasy qualcuno ci salva sempre, i buoni e i cattivi corrispondono a quella distinzione manichea che ogni mente sana sogna e i bianchi, nonostante battaglie e sconfitte trionfano la luce vince sempre il buio. E meno male! Perché la chiave di lettura della realtà che Silvana De Mari dà è qualcosa di angosciosamente asfittico e totalitario, in ogni istante a rischio di genocidio la fantasy appare all’autrice se non l’unica ma un’ottima via per ripristinare l’equilibrio della serotonina, scaricare un po’ di adrenalina positiva trovare la forza di vivere la vita reale.
La letteratura fantasy mette brutalmente in scena il potere genocidario in cui la provvidenza e la misericordia non esistono per definizione (come d’altra parte accade nei veri contesti genocidari) perchè il concetto di umano vacilla ed esso vacilla nel momento in cui la società emargina socialmente e culturalmente le sue donne convincendole, attraverso narrazioni, della necessità di poter sensatamente mandare a morte i propri figli o i figli degli altri: i bambini. Una cosa è certa ed in questo la De Mari non potrebbe essere più chiara: quando un popolo ha abdicato alla parte più profonda del proprio cervello, quella in comune con i coccodrilli, che controlla l’istinto di difesa della specie e dei figli, ha abdicato al proprio essere umano…e in qualche modo anche rettile. Che razza di essere ci troviamo davanti? Questo è il punto è questo è esattamente ciò che il fantasy con tutte le mediazioni del genere e la certezza del lieto fine, è in grado di raccontarci.
Tanto più è forte il genocidio nell’immaginario collettivo, tanto più è forte il desiderio di apppartenere a un gruppo e la necessità di condividere con questo gruppo dei segni che rendano l’appartenenza riconoscibile.. Musica, pettinature, abiti, moto tatuaggi e piercing sono tutti segni di identificazione tribale che sono tanto più necessari quanto aumenta la paura. [….] Il consumismo è un fenomeno geniale che ha avuto tre funzioni fondamentali: diminuire l’ansia dell’isolamento, spostare l’aggressività umana sul possedere e sul vendere, così che non sia più unicamente sull’aggredire, e aumentare la comprensione della psiche umana. […] Il marketing è stato un ciclopico addestramento alla comprensione e quindi alla compassione, come mai nessuna religione e nessun movimento spirituale è riuscito a fare. (p.113)
Non so se questo passo rende la potenza del ragionamento della De Mari in cui la fantasy riesce a dialogare con i genocidi di ogni epoca e luogo, con Auwshwitz ma anche con il terrorismo contemporaneo che lei definisce “Minuscolo campo di sterminio portatile”. Segue un ragionamento che apre la speranza, spero ad una via d’uscita fuori dal libro ovvero la necessità di cominciare a vedere la realtà in faccia e di dire la verità smettendola di essere e pretendere sempre la correttezza politica e mediatica, quando la De Mari invoca un po’ meno gentilezza e cordialità e un po’ più di sana sincera maleducazione quando si tratta di condannare senza alcuna attenuazione atti disumani che spesso vengono coperti da una retorica e distante giustificazione di una cultura diversa che non si conosce.
Nel primo periodo della sua vita la psiche del bambino fa blocco unico con quella della madre. Le loro emozioni non possono essere disgiunte. Un mondo di pace non nascerà mai fino a quando le donne saranno miserabili e schiave. Una creatura umana impara il senso della propria unicità dalla propria madre e non può farlo se lei non lo possiede.
Torniamo sempre e solo lì, dove ho scelto di stare con il mio prato fiorito: fioriscono solo le teste che si coltivano e coltivarle non può e non deve essere utopia ma un vero servizio sociale se non vogliamo che il patto civile salti!