“Amo quel cane odio quel gatto”

Non capisco
la poesia
sulla carriola rossa
le bianche galline
e perché così tanto
dipende
da loro.

Se quella è una poesia
sulla carriola rossa
e le galline bianche
allora ogni frase
può essere poesia.
Basta solo
fare
frasi
brevi

Ecco, ecco quello che per moltissimo tempo ho pensato della poesia: che sia quella cosa per cui

basta solo

fare

frasi

brevi.

Seconda pregiudiziale che da sempre pesa per me nell’approcciarmi alla poesia è il suo essere apparentemente ermetica anche quando non lo è, incomprensibile nella sua urgenza…poco narrativa nella contrazione dell’espressione.

Oggi le cose le vedo diversamente, per tanti motivi, non ultimo, anzi, la scoperta di un libro straordinario della quale devo ringraziare Chiara Carminati che nel suo corso dell’anno scorso ce ne ha letto degli stralci.

Amo quel cane odio quel gatto, di Sharon Creech, edito da Mondador nel 2004 e finalmente tornato disponibile nella nuova edizione con la seconda parte Odio quel gatto, è un romanzo in poesia. Meglio: è un romanzo epistolare in cui le lettere sono scritte con la forma della poesia…quale essa sia lo scopriremo nel corso della lettura, e spero anche un po’ di questo post.

Il mittente è Jack un ragazzino, possiamo immaginare abbia più o meno 10 anni; il destinatario è Miss Stretchberry (ho molto apprezzato la scelta di non tradurre il nome in questa nuova edizione) la sua maestra. Il libro ci propone solo le lettere di Jack da cui possiamo evincere un po’ di quello che accade in classe con la maestra, ma soprattutto da cui possiamo seguire l’evoluzione interiore di Jack che, con attraverso le lettere e le poesie, cresce nel riconoscimento della propria identità innanzitutto come bambino e poi anche come poeta.

Jack scoprirà che con le frasi brevi e gli spazi della poesia, su cui evidentemente Miss Stretchberry sta lavorando molto in classe, può esprimere non solo la propria iniziale insofferenza scettica nei confronti della poesia stessa (che per altro “E’ una cosa da ragazze”) ma anche le proprie gioie, le proprie emozioni, e la cosa più difficile di tutte: la disperazione interiore per l’elaborazione di un lutto.

La genialità di Jack (Sharon Creech fa qui un’operazione impeccabile, difficilissima e davvero efficace) è quella di scrivere lettere, non solo in forma di poesia con la sua versificazione esibita, ma soprattutto ricalcando esattamente la sintassi e la struttura delle poesia dei grandi autori che la maestra gli propone. Ecco allora che Jack scrive come William Carlos William (la famosa poesia della carriola rossa dell’inizio), come Robert Frost o William Blake , Valerie Worth, Arnold Adoff, Rigg e, soprattutto, sopra tutti, Walter Dean Myers.  Jack scrive alla maniera di Dean Myers, si ispira, questa è proprio la formula che insieme alla maestra trova per esplicitare il fatto che si sente di aver copiato delle parole dal suo poeta preferito quando di fatto ha creato un componimento del tutto originale.

Jack, e noi con e grazie a lui, fa un vero e proprio compendio della poesia americana che Jack rielabora tanto bene che la maestra, deduciamo, gli chiede di poter affiggere nella bacheca della scuola alcune sue lettere, ovvero poesie. Jack accetta dapprima però chiede di non mettere il nome, poi accetta di mettere il nome, poi si “permette” di dire alla maestra che non ha rispettato le stesse spaziature del suo originale manoscritto ed infine chiede alla maestra di insegnagli a battere a macchina affinchè possa da solo scrivere le poesie per la bacheca con gli spazi e il resto come dice lui.

Una totale evoluzione nella consapevolezza di sé che va di pari passo con l’elaborazione del dolore profondo nascosto. Il passaggio in qualche modo dalla scettica ostilità tipica dell’atteggiamento ancora legato all’infanzia, all’età successiva in cui le emozioni devono trovare uno sfogo e la valvola, chi l’avrebbe mai detto, è la poesia.

Nel romanzo accadono minuscoli continui cambiamenti, occasioni, la principale delle quali porta il poeta amato da Jack nella sua scuola per incontrare i bambini, la vita cambia, la vita può regalarti gioie che non avresti sperato, non solo dolori improvvisi e inconsolabili.

Sin dalla seconda lettera di Jack serpeggia qualcosa di strano, un malumore legato ad un cane, un malumore legato in realtà alla rabbia per l’assenza di perché nelle cose; la rabbia che prende Jack quando la maestra, deduciamo, gli chiede il perché legato a qualcosa che ha scritto, è la rabbia verso l’impossibilità di capire ciò che accade. “Non capisco”, ecco come inizia lo scontro tra Jack e la poesia, ecco cosa c’è nello scontro di Jack con la vita.

Il lutto di Jack è per la perdita del suo amatissimo cane in un incidente stradale, lì la sua vita ha avuto un contraccolpo e quasi si è fermata mentre la macchina che ha investito Sky, no, lei non si è fermata. Ecco, dove sono tutti i perché a cui Jack non trova risposta, il perché della vita, della morte, dell’amore e della mancanza di senso. Nella vecchia edizione del libro c’era solo la parte di Amo quel cane invece la nuova edizione continua in Odio quel gatto che continua il carteggio (ancora una volta sentiamo solo la “voce” di Jack) scoprendo di poter di nuovo amare, un amore e una scoperta che partono dalla negazione totale, dalla dichiarazione di odio per evolvere verso la crescita. Sono felice di questa nuova edizione più completa e che si chiude con un’appendice molto interessante che riporta alcune delle poesie che Miss Stretchberry ha proposto in classe e da cui Jack ha preso il via per la sua personalissima scoperta della poesia, certo, ma soprattutto di se stesso.

Mi fermo qui per proporvi, in sequenza, una mia scelta di poesia che attraversano il senso, il senso che io ho voluto leggere in Amo quel cane odio quel gatto libro che, ve lo assicuro, vi cambierà la cognizione della poesia, della narrativa e anche dei libri per ragazzi. L’edizione Mondadori, ormai fuori catalogo, è tradotta e curata da Andrea Molesini il che è evidentemente un valore aggiunto.

14 marzo

[…]

Mi è proprio piaciuta

la poesia

di Mr Walter Dean Myers

chiamata

“Amo quel bambino.”

Mi è piaciuta

per due ragioni:

Primo perchè

mio padre mi chiama

proprio così

quando mi sveglio.

Mi chiama:

Ehi tu, figliolo!

E anche perchè

quando avevo il mio

cane giallo

amavo quel cane

e l’avrei chiamato

proprio così –

avrei detto

Ehi tu, Sky!

14 maggio (questo l’ho scritto a macchina da solo)

14 maggio (questo l’ho scritto a macchina da solo)

IL MIO SKY

Stavamo fuori

giù in strada

io e gli altri bambini

a dare calci alla palla

prima di cena

e Sky stava

correndo correndo correndo

con i piedi che andavano

da ogni parte

e la coda

sco-sco-scodinzolava

e la bocca

sba-sba-sbavava

e era

dappertutto

sorrideva e scodinzolava

 e sbavava

e ci faceva

ridere

e il mio pa’

ci venne incontro sulla strada

era laggiù

lontano lontano

potevo vederlo

era sceso dall’autobus

e ca-ca-camminava

e lo vedevo che salutava

e gridò

“Ehi ciao, figliolo!”

e così non ho visto

la macchina

che veniva dall’altra parte

finchè un altro –

uno dei bambini grandi –

gridò

“Macchina!”

e mi sono girato

e ho visto

un’auto azzurra un’auto azzurra

                schizzata di fango

                che filava via per la strada.

E ho visto Sky

inseguire la palla

sco-sco-scodinzolando

la coda

e l’ho chiamato

“Sky, Sky!”

e ha girato

la testa

ma era troppo tardi

perchè

un’auto azzurra un’auto azzurra

                schizzata di fango

colpì Sky

tonfo tonfo tonfo

e non si ferò

aveva tanta fretta

tanta fretta

tante miglia da fare

da non potersi fermare

e

Sky

restò là

sulla strada

steso su un fianco

con le zampe piegate strane

e il fianco fremeva

e mi guardava

e io dissi “Sky! Sky! Sky!”

e poi arrivò

il mio pa’

e sollevò Sky

dalla strada

e lo adagiò sull’erba

e Sky

chiuse gli occhi

e

non

li

riaprì

mai più

mai.

AMO QUEL CANE

(ISPIRATA DA WALTER DEAN MYERS)

DI JACK

Amo quel cane,

come un uccello ama volare

dico che amo quel cane

come un uccello ama volare

amo chiamarlo al mattino

amo chiamarlo 

“Ehi tu, Sky”

Amo quel gatto

(ispirata a Walter Deab Myers) di Jack

Amo quella gatta,

come un uccello ama cinguettare

Ripeto, amo quella gatta

come un uccello ama cinguettare

Amo salutarla la mattina

amo salutarla

“Ehilà, Schizzerra de Micis”

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