I classici per bambini

Venerdì 31 marzo ho avuto l’occasione di seguire un incontro organizzato dal festival veneziano di Incroci di civiltà dedicato, incredibile ma vero, alla letteratura per l’infanzia ed in particolare ai classici per bambini.

Partecipavano all’incontro, condotto da Laura Tosi e Carol Rutter, Luigi Dal Cin, Mary Hoffmann e Marcia Williams.

Tutti e tre erano stati chiamati a discutere sullo spinosissimo, secondo me, tema: come trasmettere i classici della letteratura ai bambini?

Dal Cin interpellato a partire dal suo Orlando pazzo nel magico palazzo ispirato all’Ariosto, e la Hoffmann e Williams per i loro moltissimi testi dedicati a Shakespeare.

  

Il confronto tra i tre è stato molto interessante, peccato la conduzione si sia persa l’occasione per approfondire dei temi di estrema importanza e particolarità emersi nel corso del dialogo che in effetti, più che un dialogo, è stato un domanda-risposta a turno.

Ma è proprio necessario proporre i classici ai bambini?

Sciolgo la domanda evidentemente provocatoria: forse non è sempre vero o necessario che quello che un adulto considera, a buon diritto, un classico debba esser scoperto dal bambini in età infantile o adolescenziale perché così incontra la bellezza prima… Che problema c’è se un bambino incontra alcuni libri da adulto?

Se un senso ha il raccontare un classico ad un lettore bambino, come nel caso dell’Ariosto o di Shakespeare, è quello di far gustare al bambino la complessità e, in qualche forma, la genialità dell’opera in questione: il suo linguaggio, la sua costruzione narrativa, gli espedienti principali ecc. Se il tutto viene ridotto alla riduzione e semplificazione della trama…beh, non vedo che cosa il lettore abbia da guadagnare dalla lettura.

Ecco perché tutti e tre gli ospiti si sono fermamente opposti all’idea di riduzione per l’infanzia opponendo invece un concetto ben diverso: quello della riscrittura dell’opera perchè questa diventi significativa per il bambino. Nulla viene semplificato, anzi, la complessità dell’originale deve resistere e persistere ma la struttura narrativa e le scelte linguistiche devono essere quelle adeguate all’età.

Alla domanda, molto interessante della Rutter su come fare a presentare ai bambini testi in cui ci sono tematiche terribili e difficili come l’omocidio ecc., pensiamo per esempio a Macbeth, la Marlow ha precisato molto puntualmente che ai bambini si può raccontare, nel modo adeguato, tutto poichè provano su di loro esattamente tutte le passioni e i sentimenti che un’opera letteraria mette in scena. Anzi, è proprio su quegli aspetti che al bambino parlano di più per affinità o opposizione, che la riscrittura per bambini dovrà puntare per parlare al lettore. Solo due cose per il bambino risultano estranee perchè non ancora esperite con i propri sensi e dunque di difficile mediazione: le passioni sessuali e tutto ciò che concerne le questioni economiche.

Dunque nessuna edulcorazione, nessun semplificazione ma tanta ma proprio tanta tecnica e competenza e pennabambina, come la chiama Luigi per parlare il linguaggio dei bambini pur ripercorrendo quello dell’Ariosto.

Ci sono riscritture o edizioni di classici per il pubblico di giovani lettori bellissime, curatissime e che hanno il più assoluto rispetto per il bambino, mi lasciano del tutto perplessa le operazioni editoriali, che giudico semplicemente tali, di riduzione in formato bignami per bambini dei plot dei “classici”.

Mi è venuto solo alla fine di usare le virgolette ma avrei dovuto metterle sin dall’inizio perchè infondo definire che cos’è un “classico” per una cultura è qualcosa di estremamente complesso la cui definizione cambia sostanzialmente, talvolta i classici sono superati dal tempo, per questo, ancora di più, risulta fondamentale capire cosa e come proporre ai bambini perchè si innamorino della lettura di quel libro senza preoccuparsi o sapere necessariamente che si tratta di libro derivato da un classico.

O no? Quale obiettivo ci diamo? In questo forse anche la scuola ha la propria responsabilità, quando la scrittura e la lettura si sono dissociate dalla storia della letteratura? Come recuperare questo gap che ci fa perdere così tanti lettori? Mi viene in mente una discussione incredibile, che vi raconterò in un prossimo post probabilmente, tra la Mastroccola e Franco Lorenzoni a Farenheit in cui la prima sosteneva l’importanza di leggere ai ragazzi l’Odissea nella traduzione del Monti, e Lorenzoni basito si domandava che senso avesse proporre ai ragazzi qualcosa che necessita a sua volta di parafrasi.

Ma quanti gradi e strati e blocchi dobbiamo mettere tra il lettore e il testo?

Ma come si fa a provare piacere in questo modo?

Mmmmm mi sa che sono andata un po’ in là…mi fermo ma….aspettatevi la prossima puntata e nel frattempo vi sarò grata se vorrete partecipare al confronto sul tema!

 

 

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