Il mondo che vorrei di Adolfina de Marco

Inizia maggio con una riflessione in cui Adolfina de Marco ci racconta il proprio punto di vista e le proprie scelte di lettura legate al tema dell’Utopia che, iniziato a marzo, continuerà ancora ad occupare i lunedì di maggio.

 

Il percorso letterario sull’utopia è molto impegnativo ma permette di affrontare domande che ci fanno assumere sguardi diversi rispetto al nostro essere cittadini e che meriterebbero di essere ampiamente sviluppate attingendo “spunti e appunti” da diversi background culturali (ma non solo). Mi limito, perciò, ad attingere solamente dalle personali e confinate risorse il necessario per incorniciare un percorso iniziato più di un mese fa e che continua a darmi indicazioni per conoscere “mondi ideali”.

Partirò dalla parentesi appena sopra riportata. Il “ma non solo” per me ha il sapore del contesto ludico. Da esso ed in esso si sviluppa a mio modo di vedere la coscienza sociale di una persona e ciò accade più che da un punto di vista teorico, magari più riconosciuto come quello filosofico a cui solitamente si riferisce l’utopia, da un punto di vista, appunto, ludico perché proprio da qui è possibile tracciate mappe e piantine di ambienti ideali.

Sono passati secoli ma l’attività immaginativa ha ancor oggi questa urgenza e se non arriva a proporre novità ha la saggezza di ripescare il vecchio. Ecco perché sono andata a cercare novità editoriali e interpretazioni dei classici senza tralasciare questi ultimi dei quali sentivo di non ricordare più qualche passaggio…verso l’Altro mondo.

L’invenzione di un mondo immaginario diventa condizione antropologica che ha inizio con una domanda: di cosa abbiamo bisogno per essere felici?

Ciò significa chiederci di cosa abbiamo bisogno per vivere bene, in quale luogo e cosa dobbiamo fare.

Altra domanda a seguire:

possiamo essere felici da soli?

Come devono essere le persone con le quali viviamo in questo mondo ideale?

Immaginare un luogo ideale è un esercizio che trova la sua realizzazione in un atto ludico che vuole essere condiviso, quindi che ha il consenso da tutti o dalla maggioranza. Non solo. Questo genere di gioco prevede un ribaltamento della prospettiva in quanto insegna a liberare la fantasia, la “visionarietà” e ad avere una visione d’insieme invece che minuscola e frammentata.
Scrive la papirografa Clementina Mingozzi: “Leggendo un libro di Albumé, ho scoperto che mappe e atlanti sono un ritratto o autoritratto, dipende da chi le fa, di noi stessi, del nostro modo di vivere e vedere il mondo.” L’artista si riferisce alla storia della cartografia ma, presa in prestito la sua citazione, crediamo possa essere utile per declinare il concetto di utopia nella letteratura e più ancora nella narrazione come esercizio che permette la realizzazione della mappa del proprio mondo ideale nel quale la narrazione, con le sue potenzialità faccia emergere in tutta evidenza la possibilità di costruire nuovi cittadini analizzando la realtà per vedere un futuro migliore.

Il mondo ideale, dunque, è la mappa che ognuno di noi ha dentro di sé come percorso per la realizzazione di un obiettivo che trova la sua tonalità più intensa nella condivisione con gli altri. Narrazione perché in essa sono implicite le impalcature dell’atto ludico: gratuità, condivisione, regole, riferimenti, obiettivi, eccetera. Così, i mondi inventati diventano sentieri alternativi da scegliere o da lasciare giocando con le idee.
La selezione dei testi da proporre ha seguito un iter personale fatto per raggruppamenti in base alle ambientazioni e alle modalità di passaggio nell’altro mondo. Nel racconto La piccola mercante di sogni, ad esempio, Malo precipita in un tunnel e si ritrova nel Regno delle Ombre e anche le protagoniste Giulia e Arianna nel romanzo L’isola del tempo perso di Silvana Gandolfi precipitano in un crepaccio e si ritrovano sulla spiaggia dell’isola; modalità che ricordano il classico e complesso Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll. A proposito di isole, cito Sette Robinson in un’isola matta di Bianca Pitzorno e l’isola che non c’è in Peter Pan. Porte, specchi, finestre, treni, carrozzoni, cicloni sono solo alcuni dei passaggi per entrare in Paesi nei quali il lettore si confronta con nuove società, ipotizza possibilità e formula novità per migliorare il reale. Ma la storia non finisce qui. L’altra parte dello specchio è presentata dalla narrazione distopica.

Come si legge sull’immenso Wikipedia: per distopia (o antiutopia, pseudo-utopia, utopia negativa o cacotopia) s’intende una società indesiderabile sotto tutti i punti di vista. Il termine, da pronunciarsi “distopìa”, è stato coniato come opposto di utopia ed è soprattutto utilizzato in riferimento alla rappresentazione di una società fittizia (spesso ambientata in un futuro prossimo) nella quale le tendenze sociali sono portate a estremi apocalittici.

Partendo dal concetto di distopia, il punto di forza di questo genere letterario è la scenografia complessa che mette in evidenza lo scontro tra bene e male, tra chi lotta per la libertà e chi vuole il controllo su tutto. Cito alcuni romanzi che hanno segnato la storia della letteratura come 1984 di George Orwell e Fahrenheit 451 di Ray Bradbury ma anche i più attuali Bambini nel bosco e La fine del cerchio di Beatrice Masini, Lunamoonda di Bruno Tognolini e Sopravvissuta di Fulvia Degl’innocenti. Inutile dire che l’elenco è lunghissimo e questo ci deve far riflettere su quanto suona come allarme per la nostra coscienza l’urgenza da parte degli scrittori per ragazzi di dare voce all’immaginazione.

A cosa serve? A creare coscienze, a creare passaggi per mondi ideali dove ogni persona possa diventare cittadino ideale.

Adolfina De Marco

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