Yesterday Today Tomorrow testimonianze dai bambini rifugiati.

Ieri sera a Venezia c’è stata l’art night e su suggerimento di un’amica che conosce bene le mie debolezze, e che ringrazio moltissimo, ho avuto la fortuna di vedere un’installazione molto interessante e di ascoltare l’artista raccontarla.


Che cosa è
La mostra che in realtà è un progetto di ampio respiro come leggerete, si intitola “Yesterday, Today, Tomorrow”, è di Brian McCormack e al momento è nella sala Borges della Fondazione Giorgio Cini sull’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia.
L’idea è semplice e complessa allo stesso tempo: far lasciare e riconoscere una traccia di umanità ai bambini (ma ci sono anche adulti) rifugiati che stanziano nei campi profughi.
Brian MacCormack per oltre 18 mesi, e il lavoro continua, ha portato carta e penna e chiesto di rappresentare il tempo passato presente e futuro. Così come sono “usciti” dalle mani di questi più o meno grandi, più o meno piccoli, rifugiati trovate oggi i disegni esposti. Man mano che avanzate lungo i corridoi dell’installazione si passa dalla violenza di tutti i disegni di Yesterday, allo sgomento di Today, alla difficoltà di immaginare il Tomorrow.
Non colpiscono solo i soggetti dei disegni, molti molto simili tra loro, almeno per quanto riguarda Yesterday e Today, ma anche le fattezze. La maggior parte dei disegni infatti sembrano fatti da bambini molto ma molto piccoli, per il tratto e l’uso della penna colorata, e invece sono di ragazzi, qualche volta di adulti. Mi ha colpito molto questo aspetto che ha trovato conferma nelle parole dell’artista: una grande percentuale di queste persone non è mai andata a scuola, e sin ci ero arrivata, e non ha mai tenuto in mano una penna, qui non, non ci sarei arrivata.
Il gesto del disegno non esiste, il gesto del tenere in mano una penna per descrivere, raccontare, comunicare, non esiste.
Se ci pensate è l’attività che più ci differenzia come genere umano, quello della scrittura, del disegno. È come trovarsi alla preistoria dell’umanità ma con un carico di dolore sofferenza e violenza che solo la nostra epoca postmoderna conosce.

Come
Volendo dar voce ai rifugiati senza cadere nel voyerismo decisamente fuori luogo, su questo punto Brian MacCormack torna più volte, tenta di dar voce alle singole persone e poi cerca di far andare in giro quella voce attraverso il web. Perché se è vero che non ci sono fogli e penne nei campi profughi, è anche vero che tutti ma proprio tutti hanno uno smartphone, unico ed ultimo contatto col tempo di prima, col mondo esterno.
Il progetto ha poi una deriva “didattica” facendo arrivare nelle scuole dell’Inghilterra del nord là dove l’immigrazione non si sa cosa sia, i racconti disegnati di questi bambini. Racconti che si fanno performances, che si fanno altro disegni e raccontano a bambini, ragazzi e adulti di altri mondi la propria esistenza priva d’identità.
Attraverso il web e i sociale media i disegni viaggiano nella rete e tornano nei campi profughi.


Perché
Il perché di tutto questo è il riconoscere a queste persone, a questi bambini, il 65% dei quali minori non accompagnati, 5 minuti di dignità.
Poco, pochissimo tempo, ma in cui tornare ad essere individui che fanno ciò che il genere umano è nato per fare: raccontare una storia. Raccontare la propria storia.
Perché tutto questo mi ha interessato mi pare evidente: mi pare essenziale fare i conti con un’infanzia più che negata esclusa da se stessa, sapere che c’è, darle spazio per pochi minuti.
Come ha detto Brian McCormack
“A drop in revolution, but a drop”.
Una goccia è pur sempre una goccia.
Ed anche io ho pensato voluto aggiungere la mia goccia.
Seguire il progetto via sociale è essenziale.
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