La storia del toro Ferdinando
Correva l’anno 1936
Mentre il mondo intero si preparava al peggio, si firmava l’asse Roma-Tokio-Berlino e in Spagna iniziava la guerra civile, Munro Leaf pensò di scrivere la storia di un toro che non voleva combattere.
Munro la scrisse e Robert Lawson la disegnò.
Essendo la storia di un toro venne ambientata in Spagna paese della corrida e, in quello stesso anno, della salita al potere di Franco, dell’organizzazione di un regime totalitario e dell’esaltazione della guerra.
Era il 1936. Nel 2017 Frabbri finalmente ripubblica La storia del Toro Ferdinando in Italia con la traduzione di Beatrice Masini.
Ancora una volta l’idea di Jella che considerava i libri come cibo della mente, diventava un’azione politica e il libro potrà raccontare a tutti, grandi e piccoli, l’importanza di vivere in un mondo pacifico, rispettoso della diversità.
Oggi, il mondo non è affatto pacificato, l’Italia non è sotto regime, non si combatte nelle arene, eppure più che mai sento la necessità di un’educazione silenziosa (quella dei libri cara alla Lepman appunto) non tanto e non solo alla pace ma innanzitutto al diritto di essere diversi, di dissentire dalla maggioranza e di farsi forti della propria identità, qualunque essa sia, nel rispetto delle identità altrui.
Questo accade al toro Ferdinando che, grande, grosso, fortissimo, ha come unico interesse annusare i fiori e godersi il panorama da sotto la sua quercia. La sfortuna vuole che un giorno in cui un bombo si scontra col sederone del toro e Ferdinando dà di matto, gli uomini, bestiali, siano lì ad osservare il comportamento di Ferdinando e a convincersi di avere trovato il toro più forte di tutti.
Lo chiamano il Feroce Ferdinando. Tutti i banderilleros avevano paura di lui, e anche i picadores avevano paura di lui. Il matador poi era terrorizzato.
Eppure, il feroce Ferdinando al centro dell’arena si siede e annusa i fiori dei cappellini delle signore. Impassibile non soffre il disappunto, l’esclusione, la solitudine solo apparente. Persino la mamma, che era una mucca, accetta il modo di essere del figlio non comprendendo ma accettando per la felicità del vitellino pacifico.
Gli uomini no, non comprendono e si comportano in maniera talmente insensibile da rovesciare il concetto di umanità e di animalità.