Parole prime. La poesia per bambini
Succede che quando aspetti le cose per tanto tempo e poi finalmente arrivano sembra che il tempo ti sia sfuggito di mano.
Ieri abbiamo avuto questo incontro con Giusi Quarenghi che da tanto avevamo progettato e da tanto aspettavamo e oggi, mi pare che sia stato tutto così rapido che faccio fatica a mettere i pensieri in ordine.
Eppure, per quanto sia davvero improbabile riuscire a raccontare le riflessioni di Giusi sulla poesia mi pare che in qualche modo mi sia necessario fissare qualche appunto preso.
Da un paio di anni abbiamo deciso, come teste fiorite, di aprire un varco di riflessione e di attività dedicato alla poesia per bambini perché intuiamo che lì ci sia qualcosa che, come dire, potrebbe ridurre la sofferenza nel mondo o almeno, come dice Brodsky e la Quarenghi cita, potrebbe aiutarci ad evitare di aumentare la sofferenza. La poesia, il fare poesia e l’ascoltare poesia, è pratica di vita quotidiana che conduce in un percorso di umanizzazione fondamentale ad ogni età e a maggior ragione quando l’essere umano nasce e cresce e deve prendere una strada. Tuttavia esprimere e raccontare e convincere dell’importanza di tutto questo è davvero complesso, un laboratorio poetico trasversale alle discipline non è detto che porti ad un risultato quantificabile in termini “scolastici” o presunti oggettivi, ma è il percorso, il viaggio, che conta, il cosa è successo mentre eravamo per strada e come il cammino nel linguaggio ci ha cambiato. Vista così, la poesia, che è per qualcosa percepita come elitaria, come superflua, materia per chi se lo può permettere, insomma, si svela compagna di vita quotidiana che si esprime in ogni parola e in ogni gesto, l’obiettivo non c’è, o meglio, l’obiettivo non è leggere o scrivere poesia, l’obiettivo è abitare il linguaggio ovvero abitare la propria umanità se è vero che è il linguaggio che ci fa umani.
Tutto questo in maniera magnifica, pulita, chiara, accorata, è stato al centro delle due ore di relazione di Giusi Quarenghi. Tra narrazioni, poesie e prese di posizione nette dalla parte dei bambini e della parola, quello che la Quarenghi ha provato a dirci ci resterà dentro. Per noi sarà seme che lasceremo sempre a dimora, vi do i miei appunti di ieri, alcune sono frasi di Giusi, altre sono mie rielaborazioni delle sue frasi, tutto è infinitamente più povero ma mi piace condividere gli appunti con chi è qui e leggere, prendeteli come tali, un inventario di suggestioni linguistiche.
Essere adulti non ha mai una posizione neutra nei confronti dell’infanzia. Le storie sono passaggi di testimone di generazione in generazione e la poesia è lì a favorire questo passaggio, a far sì che il mondo di ieri passi quella strettoia che ci porta al mondo che noi siamo. Una porta che mette insieme ciò che ci ha preceduto ed ecceduto con ciò che esiste oggi; è l’eredita di un mondo che rende possibile l’apertura di un mondo completamente altro.
Decidere di lavorare sulla poesia è, da un lato, lavoro di cesello, di estrema raffinatezza e cura, ma dall’altro, un’apertura estrema alla parola, un credito assoluto alla parola che ha radici.
La poesia dunque si pone in quel piccolo diaframma che permette il passaggio di mondi, di parole, di esperienze, di vita che fa pulsare la lingua e nella vita l’io linguistico.
Il prerequisito per ogni laboratorio di poesia è la pratica dell’ascolto perché la poesia, prima di avere urgenza di trovarsi detta, è ascoltata. L’ascolto è totale, ma questo non vuol dire un’accettazione acritica del contenuto del detto, bensì è la pratica che garantisce la fiducia nell’ascolto e nell’essere ascoltati.
Se, come sostengono alcuni studi di antropologia, la lingua nasce dalla necessità delle madri di posare i bambini per terra, lontani da loro, per poter lavorare la terra, e di raggiungere e rassicurare questi bambini attraverso la voce, allora la lingua, è un corpo in assenza, sono due braccia che cullano da lontano, invisibili. La lingua quindi si sarebbe sviluppata con il diffondersi delle cure materne, visione che non stona, pur nella differenza di punti di vista con l’idea crociana della poesia come lingua materna dell’umanità, la prima forma di pensiero e di parola che procedono all’unisono.
Quando i bambini imparano a parlare sono nel punto più alto del tentativo di sintesi tra parola e pensiero, per questo è fondamentale dare nome alle cose, riconoscerle nella coincidenza tra nome e oggetto. Gli inventari, i dizionari illustrati sono essenziali per questo processo di nominazione del mondo, di un mondo che esiste perché nominato. Nel territorio della poesia, è possibile recuperare, come i bambini sanno in origine fare, la coincidenza e l’unità di parola e pensiero anzi, la Quarenghi parla di bambini trini la cui natura linguistica si basa sulla coesistenza di pensiero, parola e azione.
Per i poeti, così come per i bambini, le parole SONO le cose, significato e significante coincidono intrinsecamente.
Allo stesso modo per i poeti e per i bambini i versi sono esperienze, pratica, azione, pratica di vita che si esprime nel linguaggio e pratica di lingua che si esprime nella moltitudine delle parole ricercate ed usate.
Se i numeri primi sono individui che vanno compresi in se stessi, come i bambini; le parole che i bambini piccoli usano sono comprensibili solo grazie alla condivisione dell’esperienza a cui fanno riferimento. Ecco perché le parole dell’infanzia, dei primi anni di vita, sono parole prime, indivisibili e comprensibili solo in se stesse.
Ogni parola è una casa, questa è l’immagine che più accompagna la poesia di Giusi Quarenghi, e la metafora funziona perfettamente anche per spiegare come parliamo tutti i giorni e cosa sia l’abitudine alla poesia: il livello comunicativo che utilizziamo per intenderci quotidianamente si trova al piano terra, vicino all’uscio d’entrata, ma la casa è piena di scale e quelle scale sono la passione del poeta e il gioco dei bambini che girano per la casa e ne visitano ogni stanza, anche i pertugi più dimenticati, anzi, se fosse per i bambini, giocando con la metafora della casa, i pertugi più dimenticati sarebbero senz’altro i luoghi preferiti da esplorare.
Allora l’adulto è lì per rendere possibile, attraverso l’abitudine all’ascolto e l’accettazione del patto di credito assoluto che i bambini gli danno, il libero girovagare per queste stanze della poesia, guidati dalle regole che ogni casa impone.
Ciò a cui bisogna lavorare allora, nelle scuole innanzitutto, non è tanto l’acquisizione della competenza linguistica ma la costruzione di una coscienza linguistica, solo così possiamo essere sempre presenti al nostro io che è sempre un io che vive nel linguaggio e che nella struttura del linguaggio dà conto di se stesso. Allora si comprende l’espressione di Giusi Quarenghi quando dice che l‘espressione, qualunque essa sia, è poesia militante, ma perché così sia bisogna che la poesia viva nei bambini, o meglio, che i bambini abitino la poesia il che non vuol affatto dire, ben inteso, costruire filastrocche o imparare poesie per la festa della mamma ecc. Assumere e dar credito alla pratica poetica vuol dire togliere la prevalenza del cervello sulla parola, farli procedere insieme, recuperare quella prima emergenza di quando si inizia a parlare.
La poesia è esperienza, al posto dell’ispirazione esiste l’attenzione, la cura dell’osservazione è la prerogativa dell’ascolto, che si fa anche attraverso gli occhi, e dunque della poesia che diventa consapevolezza dell’esperienza.
Ecco, oggi sono più ricca di ieri grazie a questo incontro e stasera non perderò l’occasione straordinaria di sentire Giusi parlare del suo Ascolta, quindi, per chi vi sarà, ci vediamo alle 20.00 in libreria Marco Polo a S. Margherita, Venezia.
Nel frattanto inizio a pensare un modo per far tornare Giusi qui a Venezia!!
Che la poesia possa trasformarsi in una “casa” per tutti, sia grandi che piccini 🙂
Una bella iniziativa!