Gli stereotipi di genere nelle storie
L’altro ieri mi è capitato di vedere e di condividere un’intervista da “Presa diretta”, il programma di Iacona su Rai 3, dedicata agli stereotipi di genere nei libri di testo per le scuole. Il successo di questa condivisione mi ha portata a fare qualche riflessione, più diretta, non legata ad un singolo libro, su questo fondamentale tema.
https://www.facebook.com/PresaDiretta.Rai/videos/10160192648200523/
Mi pare di intendere che uno dei motivi per cui gli stereotipi non solo sopravvivano ma godono di ottima salute e in ben pochi (soprattutto maschi, ma anche femmine) vogliano sentirne parlare, risiede nella maniera subdola che questi hanno di propagarsi.
Mi spiego: sono abbastanza convinta che, tendenzialmente, anche se su questo stiamo forse facendo dei passi in dietro, specie nel contesto scolastico si tenda a non fare affermazioni dirette e esplicite stereotipate riguardanti ruoli maschili e femminili e che in molti contesti si stia tentando anzi una contro educazione in questo senso.
Ma nelle storie, negli esempi o esercizi dei libri di testo, nella comunicazione visiva, gli stereotipi si ingrassano senza posa e, tutto sommato, passano inosservati. Il mercato già lavora da decenni per separare i giochi per maschi e per femmine, dalle uova di pasqua ai colori (persino la Djeco che pure produce giochi di ottima qualità propone selezioni di colori che, se non definite partamente per maschi e per femmine, dividono i colori in maniera piuttosto esplicita, o meglio, in maniera subdolamente esplicita.) Pensate alle linee di Lego per le bambine e bambini, si salva solo la linea lego city che pare non avere espliciti orientamenti di genere. Se farete però un giro all’estero o anche solo nei siti esteri delle stesse marche vi accorgerete che i cataloghi sono diversi, che la pubblicità è diversa: questa divisione per maschi e per femmine è spesso destinata all’Italia mentre non viene proposta in altri Paesi. Beh, non è recentissima d’altra parte la notizia che in Inghilterra sono state vietate le pubblicità che anche solo implicitamente propongono figure genitoriali o ruoli tra uomini e donne stereotipate. Tanto per dirne una la pubblicità del vix in cui arriva la mamma a salvare la patria e la famiglia, così come un’infinità di altre, se foste in Inghilterra non la vedremmo.
E’ anche vero che le nostre vite familiari spesso sono ancora legate ad una gestione della routine stereotipata, riproducono organizzazioni e pensieri vecchio stampo. E questo è ciò a cui pensa chi, ad esempio, vuole proporre una pubblicità in cui riconoscersi.
I cambiamenti culturali sono roba lunghissima e delicatissima e qui stiamo parlando di un cambiamento che mette mano a migliaia di anni, ci vorrà del tempo; in tutto questo i messaggi espliciti e soprattutto impliciti DEVONO andare nella direzione del cambiamento non della conferma e ripetizione e rinsaldamento dello stereotipo.
E qui arriviamo ai libri.
Ci sono delle case editrici o delle collane che hanno come linea editoriale programmatica un’educazione alla differenza di genere: penso ad esempio a Settenove , Lo stampatello o alla collana Sottosopra di Giralangolo-EDT o alle vecchie edizioni Dalla parte delle bambine il cui catalogo è stato oggi in parte riproposto da Motta Junior.
Credo che questo tipo di operazione finalizzata e mirata e esplicita sia assolutamente importante, non credo tuttavia che questa programmaticità sia a priori positiva dal punto di vista letterario, non sempre i titoli pensati a tema hanno anche una loro sostanza narrativa importante. A volte mi pare possano “puzzare” un po’ di cose scritte e pensate su misura anche se mantengono un buon livello di illustrazione e narrazione. E questo loro “puzzare” implica anche il fatto, ad esempio, che questi libri, belli o meno belli che siano, vengano scelti da persone già disposte ad educare in tal senso, mentre ciò che deve avvenire è un cambiamento di massa che deve passare anche attraverso narrazioni non pensate ad hoc e che non raggiungano quelli che già in questo processo di cambiamento ci sono dentro.
Ed è qui infatti che, come sempre, la differenza la fanno le narrazioni di qualità, quelle in cui l’educazione è silenziosa, come diceva la Lepman, e la mimesi della realtà, così come l’invenzione di mondi altri, non riproduce forme stereotipate di relazione e narrazione. Mi piacciono quelle storie in cui lo stereotipo manca e la cosa, come dire, “non fa notizia” perché non è, di fatto, una notizia ma una normalità.
Nell’intervista da cui siamo partiti si fa esplicitamente riferimento ai libri scolastici, ai sussidiari e alle antologie di letture per le scuole che davvero nella maggior parte dei casi sembrano fatte da persone incompetenti se non in cattiva fede perché tra i testi non aggiornati (e non mi riferisco ai classici che non hanno tempo, naturalmente) e quelli selezionati non si capisce per quale motivo o tagliati in maniera da rendere la narrazione incomprensibile o che riproducono narrazioni stereotipate, offrono davvero un misero panorama della nostra letteratura per l’infanzia. Se poi pensiamo che il sussidiario spesso è l’unico libro che un bambino porta a casa pensiamo che occasione perduta!
Naturalmente ci sono testi migliori e peggiori in questo senso ma mi pare che, sin qui, l’orientamento delle antologie non abbia proposto esempi in tal senso molto diversi.
Da qui, anche, l’importanza di proporre tanti libri e diversi, l’occasione grandiosa che ha la scuola di arrivare a bambini che a casa non hanno possibilità e di usare questa possibilità per raccontare storie che sono possibilità di vita.