Il pinocchio di Gek Tessaro
Sabato scorso, 3 marzo, abbiamo dedicato l’incontro mensile del nostro gruppo di lettura all’opera di Gek Tessaro, abbiamo cercato di undividuare delle linee poetiche ricorrenti e di vederne le tracce e le evoluzioni nel tempo.
Tra i vari titoli, diversi dei quali potete trovare recensiti su teste fiorite qui, qui qui e qui , mi vorrei prendere la libertà di dedicare questo post al Pinocchio riscritto da Gek e da poco edito da Lapis.
Da vecchia (nel senso che ho perso il vizio di bazzicare l’ambiente) italianista di primo acchito mi sono domandata se fosse “lecita” un’operazione estrema come quella messa sistematicamente e scientemente in atto da Tessaro; mi sono detta che i “miei” cultori della materia, i “miei” filologi probabilmente farebbero un colpo davanti a questo Pinocchio; infine ho capito che l’esperimento di questo libro è più che lecito….ma andiamo per ordine.
Per chi non ha avuto la fortuna di avere questo Pinocchio tra le mani proverò in due parole a dire cos’ha di straordinario questa versione della storia del più famoso burattino del mondo: come dichiara lo stesso Tessaro nella bellissima premessa al libro intitolata, non a caso “Metto le mani avanti”, l’autore sceglie di riscrivere il grande classico di sana pianta. Non tagliando nulla ma tentando un’operazione di pulizia della sintassi, riduzione delle descrizione e di tutto ciò che oggi appesantisce la lettura del libro originale e ce lo fa sentire lontano. Pinocchio non solo non è lontano, ma è qui e ora, e la sua storia merita talmente tanto di esser letta che vale la pena anche metterci le mani e “alleggerirla” nella forma purché non si perda la sostanza.
Ma come, direte voi miei lettori assidui e fedeli, ma non vai dicendo sempre che forma e sostanza devono coincidere, che è una questione etica prima ancora che estetica e bla bla bla?
Sì, è vero, confermo e non rinnego. Forma e sostanza diventano tutt’uno anche in questo libro perché in realtà questo è un libro che va valutato in sè e non nel confronto con il Pinocchio originale. Mi spiego meglio: se ci mettessimo a valutare l’operazione di Gek Tessaro sulla base del Pinocchio di Collodi forse potremmo dire altro, forse degli elementi di perplessità legittima potremmo averli. Ma se invece lo valutiamo per ciò che dichiaratamente è, ovvero una riscrittura che crea ex novo, allora la questione cambia del tutto.
Aggiungo, a sostegno di questa mia tesi, che Tessaro si prende una libertà che muta la sostanza della storia non tanto nella forma narrativa, bensì nel finale. Sì, proprio quel finale in cui Pinocchio diventa bambino in carne ed ossa e così espia tutte le sue colpe e rinasce mondato del passato. Tessaro assume il punto di vista bambino e parteggia incondizionatamente per il burattino a tal punto che fa sì che il burattino stesso, diventato bambino, parteggi per il suo Io di legno. Di fronte alla scissione legno-carne, bambino-ragazzo, monello-buono (e potremmo andare avanti per dicotomie fino a domani) Pinocchio, e il suo artefice (qui non Geppetto nè la Fata Turchina, bensì Tessaro), sceglie l’unità dell’io, si riconosce nel burattino svuotato d’anima a cui deve ciò che è, e torna burattino.
Avete capito bene, in QUESTO Pinocchio il burattino resta burattino!
Dai, non ditemi che non siete contenti! D’altra parte, è inutile negare che il finale creò dei problemi allo stesso Collodi che fu costretto a cambiarlo: originariamente, quando la storia uscì a puntate sul giornale, Le avventure di pinocchio si concludevano con la morte per impiccagione di Pinocchio da parte del Gatto e della Volpe. Il gran successo di pubblico che spinse l’editore a chiedere a Collodi di mettere insieme le puntate e a farne un libro, lo spinse anche a convincere l’autore a modificare il finale e Collodi lo fece in un’ottica decisamente edificante.
Tessaro dell’ottica edificante, e peggio ancora moraleggiante, se ne fa fortunatamente un baffo e decide che, dopo quasi 150 anni era ora di dare a Pinocchio ciò che è di Pinocchio: la forma e la sostanza di legno del burattino.
La rivoluzione del Pinocchio di Tessaro si applica anche, naturalmente, nell’illustrazione: la scelta di lasciarlo bianco e di fargli le mani grandissime rispetto al resto, definisce il personaggio in senso poetico: pinocchio è diverso da tutti, la sua essenza non viene scalfita dagli eventi. Quanto alle mani sono evidentemente un punto a cui Tessaro tiene molto, diversi sono i suoi personaggi dotati di manone: quelle stesse mani che costruiscono e mutano destini, a comunicare da quello del loro autore.
Ecco, chiudo in maniera circolare: una delle linee poetiche che tornano, carsicamente, nell’opera di Tessaro, mi pare possa essere quella del confronto con i classici. Un confronto creativo e vitale, mai ossequioso, tanto meno statico. Prima il Cuore di Chisciotte, ora Pinocchio , in modi estremamente diversi, evidentemente, tentano non una riduzione dell’originale nè una riscrittura “per bambini” (operazioni da cui è bene guardarsi), bensì un’autentica scrittura ex novo, narrazione in nuova forma, che rende il nuovo libro un libro nuovo, sè, che può a buon diritto intrattenere un dialogo proficuo con l’autorevole capofamiglia da cui deriva, a cui deve molto, ma non tutto.