Il grotlyn di Benji Davies
Avete presente quando vi resta in testa un ritornello che sembra non avere senso e che poi invece ad un certo punto si rivela in tutta la sua significatività?
E quella paura che gela nel letto e non vi fa più muovere e vi fa sudare freddo e vi fa dare ai rumori e alle ombre sensi fantastici e terrifici, ce l’avete presente?
Ecco, mettete insieme queste due cose e otterrete lo spunto narrativo da cui su dipana la storia che Benij Davies mette in scena ne Il Grotlyn appena edito in Italia da Giralangolo così come gli altri 3 titoli di questo autore ai suoi esordi e già così consapevole.
Se state pensando all’atmosfera luminosa e calda de La balena della tempesta o de L’isola del nonno siete fuori strada: questo è un albo gotico, notturno, pacatamente pauroso in cui viene fuori tutta la Londra fuliginosa otticentesca.
I personaggi sono quelli di Davies, inconfondibili, così come i gatti, ma l’andamento narrativo qui è proprio diverso, a cominciare dalla forma e dall’orientamento delle tavole che questa volta si sviluppano in senso verticale, come negli albi “classici” invece che più in senso orizzontale come era stato per i libri precedenti che avevano quasi un formato quadrato, da chiusi.
Sin dal frontespizio si presenta il ritornello che percorre e dà il via alla narrazione e il personaggio secondario che capiremo solo alla fine essere fondamentale nella storia, conditio sine qua non: il suonatore di organetto che tiene legata una scimmietta per attirare le persone.
La prima tavola invece senza testo, e collocata prima ancora del frontespizio, la vedete qui in alto, ci presenta con un solo colpo d’occhio tutto ciò che dobbiamo sapere: chi sono i protagonisti, principali e secondari di questa storia e l’ambientazione.
Pronti, via!
La storia inizia con la paura scatenata da questa creatura che nessuno riesce a vedere ma che colpisce tutti e che va sotto il nome di Grotlyn. Una creatua spaventosa, a meno di non credere davvero che le cose a volte non sono come sembrano, che si diverte nottetempo a spaventare bambini e poliziotti e che ruba con lucido raziocinio,
Aghi, fili, lampade a olio, persino un libro sulle mongolfiere, tanti indizi che non fanno una prova fino a quando si vede librarsi nell’aria dell’alba una mongolfiera con a bordo una scimmietta che finalmente ha tagliato la corda della schiavitù al padrone. Tutto allora appare in un’altra luce, più luminosa, non paurosa, anche l’albo, l’intera storia, torniamo a ritroso sulle pagine a cercare le tracce di quando è apparsa la scimmietta, dei segnali che ha dato, della scelta di libertà.
La chiusa è, e non poteva non essere, il suonatore ambulante arrabbiato (chissà se smetterà di atterrire i bambini suonando il motivetto del Grotlyn) e, voltata pagina, una scimmietta libera e felice.
Pensavo che la protagonista dell’albo fosse la bambina, poi per un momento ho pensato che fosse il poliziotto, dopo mi sono convinta che invece è la scimmietta e invece, ora mi rendo conto che la protagonista assoluta di questo albo è…
l’ambientazione.
L’aria buia a fuliginosa, la sensazione che essa ti lascia chiuso l’albo. Quasi la storia ti sfugge o resta in secondo piano invece quell’aria da carbone te la trovi appiccicata addosso come il motivetto del Grotlyn.
Io so quando il Grotlyn di soppiatto si è intrufolato in casa tua quatto quatto….