Correndo sul tetto del mondo

Oggi, giornata da bollino rosso per il caldo in moltissime città italiane, da una Venezia che sembra un acquario tropicale, vi porto col pensiero al fresco con un libro uscito da poco: si intitola Correndo sul tetto del mondo è di Jess Butterworth ed in Italia è stato edito da San Paolo.

La storia narrata da questo romanzo è una delle tante storie di chi scappa dal Tibet occupato dalla Cina verso l’India, di chi segue l’insegnamento del Dalai Lama e cerca la libertà…innanzitutto la libertà di parola che però in questi casi può essere raggiunta solo con una fuga verso la libertà fisica.

Chi scappa però, siamo in un romanzo per ragazzi ben fatto mica in un testo documentario, sono una bambina e un ragazzino che da soli attraversano la catena dell’Hymalaya per raggiungere il Dalai Lama in India nella speranza che almeno lui possa salvare i genitori di Tasch, la protagonista, imprigionati perchè scoperti membri della resistenza segreta.

Come faranno due bambini, o ragazzini se preferite, soli a passare l’Himalaya?

Beh, proprio soli non sono: con loro ci sono due yak straordinari che con il loro pelo contribuiranno non poco a salvare la vita ai due protagonisti nascondendoli e riscaldandoli, nononstante la loro presenza a volte rallenti il difficilissimo viaggio.

Le peripezie e i momenti di crisi che Tasch e Sam affrontano nel loro viaggio in un ambiente naturale ostile alla vita e provenendo da un contesto umano terribile, sono moltissime, il libro si fa leggere tutto d’un fiato da questo punto di vista.

Quello che più mi ha interessato della narrazione e del modo di raccontare dell’autrice  Jess Butterworth non è tanto l’intreccio però (direi che non lo è mai ad eccezione di quei casi in cui l’intreccio si fa essenza stessa del racconto, come accade in Morossinotto, ad esempio), quanto l’ambientazione che fa da sfondo e non da tema.

Che Correndo sul tetto mondo  sia un romanzo con al centro la complicatissima situazione del Tibet, che noi occidentali snobbiamo largamente, non c’è alcun dubbio e tuttavia alla lettura il libro non appare come un “libro a tema”. Sapete che ho l’idiosincrasia per i libri a tema di un certo tipo….

No, qui siamo in un contesto e in uno sfondo naturale che diventano senz’altro personaggio principale almeno tanto quanto Tasch e Sam e che giocano a favore del racconto: non lo appesantiscono, non lo rallentano e semmai lo sostengono creando un clima di curiosità nel lettore per un qualcosa tanto lontano dalla nostra esperienza.

Jess Butterwoth è autrice che ben conosce l’India e che ha iniziato a scrivere questo libro sull’Hymalaya, la vicinanza e l’affetto per i luoghi si sente fortissima nel racconto e forse anche questo è un elemento interessante per una narrazione in cui le descrizioni per portarci con il pensiero e l’immaginazione in uno scenario così lontano e freddo non mancano.

Ho visto che questo libro è stato inserito diverse volte tra le pagine del numero della rivista Andersen di questo mese dedicata alla montagna, non amo gli approcci tematici e ormai mi pare più che chiaro. Non sceglierei questo libro per il tema trattato e nemmeno per l’ambientazione però indubbiamente qui la natura della montagna innevata fa la sua parte e non è una parte secondaria in un racconto che si regge sulle sue gambe senza bisogno di appoggiarsi a temi o pretesti di lettura di varia natura.

Il freddo si sente tutto, pagina per pagina, anche l’odore degli Yak riuscirete a sentire se vi concentrerete e, siccome la sospensione dell’incredulità quando si attiva è potentissima, in questi giorni di gran caldo questa lettura potrebbe anche riuscire a rinfrescarvi un po’!

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