L’albero delle bugie

La settimana scorsa la pagina di teste fiorite è stata occupata con dolcezza e discrezione da topi e topini. Questa settimana si cambia aria…preparatevi ad una narrazione forte, ad atmosfere scure e fredde, ad un viaggio in altri mondi fisici e onirici in cui l’essere e l’apparire e la metafora dell’esistenza sorprendono e straniano il lettore.

Iniziamo questo lunedì con L’albero delle bugie di Frances Hardinge edito da Mondadori.

Dichiaro subito la mia ignoranza per colpa della quale non avevo sin qui incontrato questa autrice. Devo la fortuna dell’incontro ad una bella intervista alla scrittrice pubblicata sul numero 44 della rivista Hamelin che mi ha più che incuriosito.

L’intervista si intitola “Come in uno specchio, in modo oscuro. Intervista a Frances Hardinge” ed è a cura di Nicola Galli Laforest e Barabra Servidori. L’affermazione dell’autrice che più mi ha colpito e che mi ha spinto a comprare seduta stante il libro di cui vi parlo oggi è il suo continuo tornare sulla scrittura per ripulirla dalle troppe metafore. Lei parla di una scrittura che è fatta sia nel contenuto che nella forma letteraria di metafore e la cosa mi ha colpita così tanto che ho voluto andare a vedere di persona cosa intendesse. A quali tipi di metafore pensasse con questo continuo ritorno teorico ad immagini che significano altre immagini e dunque eccoci qui…

L’albero delle bugie è davvero un romanzo in cui possiamo ugualmente lasciarci trascinare come la protagonista Faith si lascia trascinare dall’ordito di bugie che trama per scoprire la verità, oppure possiamo leggerlo con la lente d’ingrandimento ed andare a vedere tutte le astuzie letterarie che la scrittrice si gioca alla grande per catturarci.

Mi sono provata a seguire questa doppia strada di lettura: a lasciarmi affascinare dal contenuto sapendo però che la colpa della fascinazione è la struttura sintattica e narrativa, l’uso sapientissimo della metafora che informa di sè gli stessi protagonisti.

Il romanzo è ambientato nell’Inghilterra vittoriana quando la famiglia del reverendo Sunderly è costretta a spostarsi in un’isoletta lontana dalla terraferma per sopravvivere ad una maldicenza e ricostruire la propria  esistenza familiare. La famiglia è composta dal reverendo famosissimo scienziato di scienze naturali su cui si è abbattuta la calunnia di aver manomesso e inventato dei fossili; la moglie Myrtle, sempre bella e impeccabile al limite della sfrontatezza, il piccolo Howard e lei, Faith, la protagonista del romanzo, la figlia adolescente del reverendo che segretamente con lui condivide la passione per il mondo naturale e le scienze.

Tra la serie di sfortunati eventi che si susseguono da quando la famiglia Sunderly arriva sull’isola c’è la morte del reverendo, un supposto suicidio che ne impedisce la sepoltura in terra consacrata, che però si rivelerà un macchinosissimo omicidio. Con la formissima volontà di recuperare il padre alla verità della propria vita (e della propria morte) provandone l’innocenza davanti alla diffamazione professionale e davanti al supposto suicidio, Faith scopre il più grande segreto del padre. L’albero delle bugie è infatti un esemplare botanico unico al mondo, proveniente dall’estremo oriente, che vive al buio assoluto, che si nutre di bugie crescendo come una forma di vita parassitaria in sintonia con la mente del suo “padrone” e che compensa la prova di invenzioni mendaci con dei piccoli frutti allucinogeni in grado di rivelare le verità vere. Il reverendo dall’albero delle bugie cercava risposte al mistero della vita e della religione e per questo aveva messo in scena e macchinato alla perfezione quella stessa maldicenza che poi l’aveva portato nell’isoletta sperduta; Faith dallo stesso albero cercava la prova dell’omicidio del padre e, più ancora, la conferma di un padre sempre sognato e mai incontrato.

La storia è articolata, la trama complessa, leggetela e godetevela ma vi dico solo che la verità a cui Faith arriverà è solo quella che comprende la verità della bugia, la difficoltà di far fronte non alle bugie bensì alle verità che essere sottendono.

Faith, fede, questo il nome della protagonista che basa l’intera sua esistenza sulla fede nei confronti del padre prima e dell’albero poi. Una fede mal riposta e peggio ripagata ma che si trasformerà in una nuova fede: quella, vera questa volta, nelle proprie possibilità d’esistenza.

Faith persegue e raggiunge la verità, smaschera gli assassini del padre, rischia la vita, riscopre sua madre e salva se stessa da una vita anonima e falsa.

L’albero delle bugie è senz’altro un romanzo gotico, un romanzo metaforico al limite del fantasy nelle incursioni oniriche date dalle visioni sotto l’effetto del frutto allucinogeno; ma, a ben guardare, è anche un romanzo sulle donne, sulla forza delle donne che risulta ancor più forte data l’ambientazione in un’epoca in cui ancora si ritiene che le donne con il loro cranio più piccolo siano meno intelligenti dei maschi.

Ecco la menzogna che fa da molla all’intera lotta di Faith: l’accusa di non essere intelligente…o almeno tanto intelligente quanto un uomo, quanto suo padre. Qui sta anche quasi sino alla fine il risentimento nei confronti della madre che si gioca per sopravvivere tutte le carte della femminilità mai quelle dell’intelligenza, tanto da non essere nemmeno prese in considerazione dalla figlia che la condanna senza dubbi.

Le ultime pagine, gli ultimi due capitoli rovesciano tutto: rovesciano il punto di vista di Faith ma anche ribaltano la lettura dei personaggi: tutte le figure femminili (in parte persino quella della della domestica Jeanne) si riscattano. Tutto ciò che di male queste donne hanno saputo fare a loro modo diventa segno della forza dell’intelligenza per sopravvivere alla vita come è stata concepita e dettata dagli uomini.

Anche le figure femminili peggiori si riscattano, la loro forza, qualunque essa sia stata, viene illuminata nel buio della narrazione.

Una metafora dopo l’altra, tra trama e sintassi, il romanzo ci fa sentire freddo e persino l’odore di umido della grotta in cui vive l’albero delle bugie. Sentiamo il vento che sferza l’isola e il freddo degli abitanti che temono il fantasma del reverendo. Insomma respiriamo con Faith la sua stessa aria completamente catturati dalla sua esistenza che è sì, pienamente, metafora dell’adolescenza e del farsi adulti. Passaggio attraverso il dubbio, verso la verità di se stessi e della propria vita.

Proprio una bella lettura estiva, persino capace di raggelare in questa estate torrida.

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