Gli autori, bambini per sempre?

Attenzione! Questo è un posticino teoricino, il primo del 2019, siete pronti?

Torno sul luogo del delitto dell’autore ovvero torno a parlare di rapporto autore-lettore autore-scrittura, autore-infanzia su cui ho scritto già qui e qui .

Chi è l’autore per bambini e come ci vuole per scrivere rivolgendosi ad un lettore bambino o ragazzo?

Questa è una delle domande più interessanti, a mio parere, della critica letteraria nell’ambito infanzia-adolescenza. La questione si gioca sul filo della teoria ma anche della biografia, in qualche modo, se è vero, come è vero, che chi scrive per i piccoli, e meno piccoli, dice spessissimo di ispirarsi al suo io bambino o di ricordare se stesso bambino o di scrivere ciò che da piccolo avrebbe voluto leggere e così via.

Sembra a volte ci sia una quasi sovrapposizione tra autore reale e lettore implicito, ovvero tra chi scrive e a chi si pensa di rivolgersi.

Ora, più volte ho cercato di dire e di dimostrare, teorie comunicative alla mano, che questa è una visione quanto meno ingenua dei rapporti di scrittura e anche della pratica narrativa. E così credo fermamente sia. Tuttavia sto studiando un testo che mi ha aiutato a chiarire il pensiero a riguardo aprendo scenari teorici interessanti che finalmente permettono di far convivere ciò che gli autori “sentono” e ciò che gli autori scrivono. Nessuna sovrappostizione autore-lettore bensì qualcosa di molto più complesso.

Il libro da cui hanno preso il via questi pensieri è Bambini per sempre di Alison Lurie con la prefazione di Giorgia Grilli, edito da Mondadori nei primi anni 2000. L’ipotesi critica della Lurie è presto detta: lei sostiene, semplificando molto, che i grandi autori per l’infanzia (e prego notare l’aggettivo “grandi”), per poter riuscire così bene ad entrare in sintonia con il punto di vista dei piccoli, ponendosi anche spesso, e nei migliori dei casi, in contrapposizione con quello degli adulti, devono aver lasciato uno spiraglio aperto della porta che separa infanzia e adolescenza dall’età adulta. I grandi scrittori e le grandi scrittrici per ragazzi, insomma, devono avere, ed aver conservato, uno spiccatissimo orecchio acerbo, come lo chiamerebbe Rodari, ovvero una spiccatissima capacità di sentire le voci interiori di quando si è bambini. Mi ha colpito molto un pensiero espresso da un grande autore che ho letto di recente in un’intrevista (mi pare fosse a Melvin Burgess) in cui ritorna la domanda che si faceva da bambino e che è esattamente quella che mi faccio anche io e che credo si facciano tutti i bambini e anche i ragazzi, e che è esattamente quella domanda che gli permette di scrivere come se fosse lui stesso un ragazzo

“ma possibile che gli adulti non si ricordino niente di come erano da piccoli? Di cosa piaceva loro, di cosa sentivano, di come si sentivano anche nella relazione con l’adulto?”

Ecco, lo scrittore per ragazzi, o per bambini, scrive come se fosse il suo lettore ma non perché ingenuamente non conosca o non applica quegli strumenti della scrittura necessaria a renderla letteraria, ma perché questo suo modo di sentire gli permette di entrare in sintonia con quel mondo, cronologicamente lontano ma non certo dimenticato nè rinnegato, in cui ci saranno i suoi lettori.

Non siamo nel territorio dell’ingenuità per il quale basta saper raccontare le storie ai propri figli o ricordarsi del se stesso bambino per poter scrivere PER bambini e di bambini, o ragazzi; bensì siamo nel territorio letterario in cui l’ombra lunga dell’autore (come titolava un vecchio saggio di critica di Carla Benedetti, Feltrinelli) abita il mondo infantile e adolescenziale permettendogli un livello di sintonia ed empatia che altrimenti non si potrebbe avere.

Quali sono i libri per bambini e ragazzi che piacciono agli adulti? Quelli in cui, comunque, c’è la figura dell’adulto, almeno una, positiva, in cui tutti i nodi vengono al pettine e finisce che i grandi avevano ragione.

Quali sono i libri per bambini e ragazzi che piacciono ai bambini e ragazzi? Quelli in cui il mondo la forma delle loro metafore, in cui le logiche non sono quelle adulte, in cui la sovversione del reale è possibile e non è sottoposta necessariamente a riordinamento.

Tutto sta nella forma, certo, quella letteraria da cui non si esce, ma adesso mi è chiaro che tutto sta anche nel vissuto dell’autore che non racconta storie per bambini o che parlano di bambini ma storie in cui i bambini e i ragazzi, sono i veri ed assoluti protagonisti con il loro punto di vista proveniente da un mondo altro.

Biografia e arte quindi si intersecano, sì, ma non andrei a guardare dal buco della serratura degli autori; mi basta constatare che una continuità in qualche modo c’è, tra arte e vita. Ci sono bravi autori (e pessimi) che scrivono per bambini con libri belli; e poi ci sono i GRANDI autori che scrivono I bambini, quasi, dice la Lurie, a volte sembra che i bambini stessi siano loro, altrimenti come ci spieghiamo tanta capacità di scrivere, anche a 80 anni con il sentire di un bambino?

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