Noccioline – Il Faro: dalle origini di Paco Roca

Il faro è una delle prime opere di Paco Roca, sono riuscita ad acquistarlo solo ora perché da breve è stato ristampato in una bella edizione cartonata dalla Tunuè.

Già possiamo riconoscerci però la tematica storica che tornerà spesso nelle sue opere ambientate in Spagna.
Il protagonista è un giovane che si era arruolato nei carabinieri, ma si è trovato in breve tempo a dover partecipare alla guerra civile spagnola.
Il libro inizia con un tentativo di fuga del ragazzo, che però finisce quasi in catastrofe, se non fosse per il guardiano di un faro, che lo salva.

Il fumetto si basa quindi su queste due realtà diverse. Da un lato un giovane soldato che parla per “etichette” e spesso ripete concetti e informazioni palesemente imparate a memoria. Dall’alto un uomo non più giovanissimo, la cui testa è ferma a due anni prima, giorno in cui il faro si è rotto e giorno da cui attende una nuova lampadina, la cui spedizione è stata rallentata dalla guerra in corso.

L’uomo si cura ogni giorno del suo amato faro e cerca sempre di mantenerlo pronto per quando arriverà il pezzo mancante. Nonostante il dovere di restare a badargli però, il guardiano coltiva il sogno di raggiungere un’isola di fronte alla costa, che si nota a malapena a causa della foschia. Si racconta che lì la popolazione si tranquilla e viva in pace. Tutto questo non prima di aver finito la barca.

Non è la prima volta che uno dei personaggi delle storie di Paco Roca è caratterizzato da un procrastinare razzionalizzato da qualche motivazione morale del personaggio. Il guardiano, vede e sogna l’isola, ma ha sempre qualcosa che lo ancora al suo lato della riva e sembra gli impedisca di spostarsi.

Lo stesso si può leggere in Le Strade di Sabbia, in cui il protagonista conosce gli abitanti di un palazzo che sono tutti fermi, per un motivo o per l’altro in attesa del loro futuro, ma che in realtà non agiscono così tanto per renderlo reale.

Il Faro è in realtà un’esperienza formativa per il giovane, che impara a togliersi l’uniforme e a ragionare con la sua testa, non a scomparti stagni. Prende parte i sogni sul futuro del guardiano a tal punto che lui gli concede la sua nave e tutti i privilegi che avrebbe potuto ricevere su quell’isola.

Il giovane, soprannominato Moby Dick, quindi riesce a scrollarsi di dosso quella maschera di disillusione che gli aveva messo la guerra e riesce a tornare bambino, conosce di nuovo cosa voglia dire avere un sogno proprio ed essere determinati a metterlo in pratica a tutti i costi.

La storia è inoltre ricca di brevi sequenze di vignette che permettono di rendere l’idea di come fosse la società spagnola durante la guerra. La narrazione avviene intorno a questo faro che sembra essere in una bolla separata da tutto, in cui il tempo si è fermato, ma l’autore sceglie comunque di far comprendere a chi legge da cosa sta scappando il ragazzo e da quale fosse la realtà al tempo della guerra fredda.

In quest’opera troviamo ancora, come in Gioco Lugubre, l’utilizzo di un solo colore insieme al nero. Mi è sempre piaciuta questo tipo di tecnica, poiché permette molto l’utilizzo del contrasto di un nero, puro e intenso, con colori chiari e delicati come l’azzurro dell’acquerello e il bianco della carta sotto. Nonostante le poche possibilità sul colore però, il disegno non risulta sbilanciato né sul colore chiaro, né quello scuro e lega perfettamente con l’atmosfera “di mare” del fumetto.

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