Efrem soldato di ventura

Non amo le narrazioni di guerra.

Non amo nemmeno le narrazioni ambientate in epoche lontane.

Ma amo profondamente i romanzi scritti bene, quelli che potrebbero anche apparire contrari in assoluto alle mie predilezioni e che invece travolgono il mio cuore di lettrice e il mio occhio di critica.

Efrem. Soldato di ventura di Mino Milani edito da Mursia, prima edizione 1973, è proprio così: un libro inaspettato per l’incontro col quale devo solo ringraziare un’amica.

A giudicare dalla copertina (si può giudicare un libro dalla copertina?), indegna – quando Mursia deciderà di cambiare stile grafico ed editoriale non sarà mai troppo presto – a questo libro non si darebbe un soldo bucato. Certo però che la firma è di quelle importanti, è di quel Mino Milani di cui Gianni Rodari diceva essere il miglior narratore in italia, quindi forse è il caso di non fermarsi alla copertina anzi, di far proprio finta che non ci sia e di aprire il libro ed iniziare a leggerlo.

La storia è quella di Efrem, soldato di ventura all’epoca di Giovanni Acuto con la compagine di mercenari, molti inglesi, della Rosa Bianca, siamo nella seconda metà del 1300. Un ingorgo di umanità degenerata in cui la vita ha meno valore della morte e la violenza sembra essere l’unico linguaggio noto e possibile. Efrem è un contadino, un servo della gleba come si impara a scuola, che per una vicenda del tutto casuale viene preso e portato via dalla Rosa Bianca e che poi entrerà a pieno diritto in questo esercito di ventura.

Ma Efrem non è e non sarà mai come gli altri, questo è certo e questo è anche il senso del personaggio che, travolto dagli eventi e messo più volte di fronte alla scelta tra la vita e la morte, resiste ed accetta ogni punizione, anche la più estrema, pur di non cedere di un millesimo alla propria umanità.

Efrem subisce situazioni di ogni genere ma non risponde ciecamente ad ogni genere di ordine superiore, ed è proprio in questa resistenza ferma ed implacabile che l’Acuto scorge la stoffa del soldato. Non del guerriero per denaro o per violenza bensì del soldato che si batte lealmente e che, al primo scontro vero, riesce anche a piangere di se stesso più che dei morti che ha fatto.

Efrem dall’essere la feccia della feccia in questo contesto disumano e disumanizzante sale fino a diventare soldato, ad andare a cavallo, ad avere un vestito, chiede persino di imparare a leggere e scrivere. Lui che è contadino per nascita condannato all’ignoranza, come se essere contadini volesse dire appartenere ad una razza umana inferiore, lui scardina ogni regola ed attesa e con i suoi fermissimi “no” tiene fede al proprio pensiero ed al proprio essere umano.

La narrazione non risparmia le violenze, il contesto storico è ben ricostruito e narrato, tanto da provocare nel lettore non solo disappunto ma anche contrarietà, fastidio, incredulità davanti alla violenza più cieca. Una scrittura sciolta che segue, circonda e costruisce il personaggio di Efrem mentre compie il suo percorso di crescita individuale. Lui cresce mentre tutto intorno sembra restare immobile: è solo lui che in quel fango trova il senso di migliorarsi, non mi pare ci sia un movimento anche del contesto.

Efrem può essere a buon diritto definito un romanzo di formazione. Un romanzo in cui il personaggio cresce attraverso prove reali e psicologiche, in cui tra l’inizio e la fine si ha una parabola che vale la pena seguire.

Certo, se ne discuteva qualche giorno fa al corso bellissimo con Nicola Galli Laforest sul romanzo di formazione, come si fa a proporre ad un ragazzo o una ragazza di oggi un libro con una corpetina del genere?  Facciamo salti mortali per avvicinarli alla bellezza dei libri, al potere etico ed estetico delle narrazioni e poi?!

Se non siete adolescenti e ce la fate a passare questo ostacolo recuperate questo romanzo che è un gioiellino e poi scriviamo tutti in massa all’editore perché lo riediti in forma meno indegna e riediti anche il seguito?

Un pensiero su “Efrem soldato di ventura

  • 1 Marzo 2019 in 13:29
    Permalink

    Indubbiamente più degna la copertina marroncina dell’edizione che avevo letto io alla scuola media :correva l’anno 1977.Bisogna proprio suggerire all’editore di porvi rimedio

I commenti sono chiusi.

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