Il piccolo principe non è un libro per bambini

Buon lunedì, oggi ho deciso di mettere la mano nel nido e sollevare un vespaio, o almeno così spero accada: il confronto mi pare sempre cosa buona e giusta specie quando si provano ad esplicitare pensieri che possono risultare un pochino scomodi.

Dal titolo del post lo avrete già capito: oggi mi dedico al Piccolo principe di Saint-Exupéry, uno dei libri più comprati e letti in Italia e più utilizzato nelle scuole, persino alle primarie nonchè con un indotto di merchandising per bambini e adulti con la sindrome di Peter Pan che metà basta.

Che questo libro non fosse un libro per bambini è una cosa che mi è stata sempre molto chiara ma ho deciso di provare ad esprimere il perché di questa convinzione, fortunatamente non solo mia, dopo aver studiato diversi saggi di studiose decisamente preparate in materia in cui questo libro viene regolarmente inserito tra i classici per l’infanzia.

Ma facciamo il punto: cos’è il Piccolo principe e perché NON è un testo per l’infanzia ma, se proprio vogliamo, per un’adolescenza molto avanzata, sulla soglia dell’età adulta.

Questo libro, che è stato riscritto anche in molti dialetti e che da quando è uscito dal diritto d’autore vede una versione per ogni grossa casa editrice italiana, è stato pubblicato per la prima volta il 1 aprile 1943 mentre il suo autore era arruolato come pilota postale nella seconda guerra mondiale; la prima edizione del ’43 fu quella americana: uscì a New York per i tipi di Reynal & Hitchcock nella traduzione inglese e anche, sempre da Reynal & Hitchcock, nell’originale francese. Fu solo nel 1945, dopo la scomparsa dell’autore, che il libro arrivò in Europa, in Francia, dove fu pubblicato da Gallimard e da allora la sua fortuna non si è mai fermata.

Sia stato per i disegni di pugno dell’autore, o perchè il protagonista sembra un bambino, o ancora perché questo piccolo protagonista è un principe, il libro è stato considerato un libro per l’infanzia. Ma la forma e la struttura che l’autore ha dato al testo, non pensato per bambini, è quella del racconto filosofico in piena consonanza con la tradizione francese. Attraverso questo testo lo scrittore riflette su vari aspetti esistenziali del mondo fino a farlo diventare una sorta di libro di massime in cui nulla, ma proprio nulla, può corrispondere al punto di vista di un ipotetico bambino lettore.

Dove e quale è la metafora d’infanzia in questo libro? Quale il punto di vista bambino? Quale il senso di questo interrogarsi metafisico per un bambino?

Non c’è. Non c’è metafora d’infanzia, non c’è punto di vista e, soprattutto non c’è senso per il bambino.

Quello che indubbiamente c’è in esso e che dà tutto il valore al libro (che il suo valore ce l’ha, si badi bene, non metto in discussione questo ma solo l’afferenza ad un lettore bambino) è il senso per l’adulto che in esso ritrova se stesso e le domande che si può porre, magari in un’eco d’infanzia lontana, ma nulla di più. Non siamo di fronte ad uno di quei casi chiamati “tradimento creatore” ovvero di quei libri scritti per adulti e di cui i ragazzi e bambini si sono appropriati (si pensi all’Isola del tesoro ecc. ecc.). No, qui siamo davanti ad un caso in cui sono gli adulti che appioppano le proprie riflessioni esistenziali, scritte così bene da Saint-Exupéry, ai bambini che francamente ne farebbero a meno.

Ma dove si sono mai viste fiabe con principi che fanno la morale filosofica esplicita al loro lettore?

Mai, non si sono mai viste perché altrimenti non sarebbero fiabe!

Ci sarebbe da interrogarsi dunque sul perché il testo sia così frainteso anche da parte di moltissimi docenti che lo ripropongono in ogni fascia d’età, ma soprattutto mi domando cosa ci sia dietro le valutazioni di studiosi di letteratura per l’infanzia ed in quale senso questo libro possa essere considerato un classico per bambini in questo contesto. Ma a questo non ho risposte chiare, solo pensieri e suggestioni, magari voi ne avete di più chiare e allora vi esorto a darmi il vostro parere a riguardo.

Come sostiene Giusi Quarenghi sul sito La vita scolastica che potete leggere qui

Il piccolo principe, promosso-ridotto a feticcio dell’immaginario degli adulti attorno ai bambini desiderabili, immaginari e immaginati, sazia gli adulti di buone intenzioni, sazia le buone intenzioni degli adulti; e proietta i bambini chissà dove senza il contatto per riprenderli.

Chiudo ancora con le parole di Giusi Quarenghi dal contributo già citato visto che la sua sintesi è molto più efficace di qualsiasi cosa potrei scrivere a riguardo.

Facciamo un passo indietro e smettiamola di fare invasione di campo nell’infanzia. Piuttosto, a proposito di bambini, proviamo a condizionare di meno e a rispettare di più; a proiettare di meno e a progettare di più.

Grazie.

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