Pluk e il Grangrattacielo
Che cos’è un classico?
Che cos’è un classico della letteratura per l’infanzia?
E’ qualche settimana che più volte torno su questo pensiero. Mi interrogo sul senso critico della parola classico e sul suo uso e mi sono resa conto che è più facile dire quali libri sono classici piuttosto che estrapolarne una definizione o un ragionamento teorico (cosa che comunque prima o poi proverò a fare con voi).
Tra le mie conclusioni empiriche mi sento di poter dire che Pluk e il Grangrattacielo di Annie M. G. Shmidt e Fiep Westendorp edito da Lupoguido è un classico.
E lo è non solo dal punto di vista “cronologico” (è un libro uscito in lingua originale molti ma molti ma molti anni fa); e nemmeno dal punto di vista “autoriale” (l’autrice è una grandissima quasi sconosciuta in Italia che nel 1988 ricevette dalle mani di Astrid Lindgren l’Andersen Award); bensì proprio dal punto di vista narrativo ed ora provo a spiegarmi.
Ma prima lasciatemi qualche riga per raccontarvi chi è Pluk e cosa è questo libro. Il volume raccoglie in brevi capitoli (perfetti da leggere uno a sera) alcuni episodi – alcuni consequenziali altri no – della vita del bambino Pluk che solitariamente si trasferisce a vivere da solo nella torretta del Grangrattacielo al centro della città. La narrazione si apre con Pluk sul suo carroattrezzi rosso che cerca casa, viene a sapere della torretta e se ne appropria insieme a Ciccia Clio la colomba e, dal secondo capitolo, a Zaza lo scarafaggio pulitissimo. Tutto ciò che circonda Pluk è un condominio fatto di personaggi – macchiette, ognuno con delle caratteristiche estremamente marcate, i nomi già ci dicono tutto (nomen omen) , e sembra che l’unico equilibrato sia il piccolo Pluk… la signora Stralindo maniaca della pulizia con la figlia Agatina tenuta pulita e ferma come una bambolina, i Fracassini con papà e tanti figli che vivono nel più totale caos, il capitano, il portiere e il signor Pennino, forse l’unico adulto che mantiene un ruolo adulto quasi esclusivamente positivo o almeno non troppo sbilanciato.
Il libro si legge con un crescendo di attenzione non dovuta tanto alla suspense che lega alcuni capitoli tra loro, ma solo alcuni, bensì all’affetto e all’empatia che ci lega a Pluk più che a ogni altro personaggio essendo solo lui, e forse in parte i suoi amici animali complici, un personaggio a tutto tondo con le sue contraddizioni (quella di essere un bambino piccolo e grande in primis). Quanto agli adulti non ci fanno esattamente una buona figura e tuttavia la narrazione ne sostiene il ruolo ed anche in qualche misura la “necessità” perché la quotidianità vada avanti.
Penso all’episodio esilarante in cui i grandi mangiano le Banbacche (non vi racconto il perché e il per come) che li riporta allo stato di bambini. Si realizza l’utopia infantile: adulti che giocano come bimbi in ogni dove, tutti sono felici e si divertono, anche Pluk, fino a quando però si rende conto che un palazzo brucia e i pompieri non intervengono perché stanno giocando, non c’è niente da mangiare perché il panettiere e tutti gli altri stanno giocando, chi si fa male non viene curato perché il dottore sta giocando. Immaginate il caos!
Pluk sembra essere l’unico in grado di tenere la testa a posto lui che, come ogni bambino, non ha bisogno della “droga” delle Banbacche per giocare ma anche per tornare serio quando serve. Un’utopia che può essere tale solo se mai si realizza nella realtà.
Il divertimento con Pluk è più che assicurato ma più che il riso di questi testi, in alcuni casi dei quali si sente che erano stati concepiti per essere pubblicati a puntate (si ha una sorta di mini riepilogo all’inizio), colpisce l’adesione alla visione realistica e per questo assolutamente utopica dell’esistenza di un bambino a sè, per altro l’unico saldo in un mondo in cui non esiste nemmeno una famiglia “intera” sono mamme con figlia o papà con figli ma mamma e papà insieme non se ne parla. Chissà, forse Pluk li aveva ed ha preferito andarsene col carrattrezzi rosso? Illazioni che non hanno alcun senso nè importanza. Pluk è così e solo grazie alla sua solitudine, che condivide con moltissimi altri “eroi” veri della letteratura per l’infanzia, specie quella nordica, può permettersi di farci vivere con lui queste avventure straordinarie. I bambini non sono tutti positivi come i grandi non sono tutti solo negativi, si arriverà ad un equilibri o almeno all’accettazione della realtà. Ma ciò che conta e che resta di più è il sapore di un libro che ti resta dentro e ti cambia l’immaginario e se è vero, come è vero, che un classico è quando i lettori reali di epoche diverse coincidono con il lettore implicito del libro allora Pluk non può che essere un bellissimo classico.
E grazie alla piccola e giovanissima casa editrice Lupoguido che in pochissimo tempo sta riportando alla luce gioiellini editoriali.