Che fatica mettere a letto papà

 Età: da 5 anni

Pagine: 30

Formato: 30,5 x 23 cm

Anno: 2012

Editore: La margherita edizioni

Autore: Coralie Saudo

Illustratore: Kris Di Giacomo

Lunedì mattina.

Prima ora. Ancora prima di chiedere ai bambini di preparare astuccio, quaderno di italiano o qualsiasi altro strumento necessario per la buona riuscita della lezione, apro la mia cartella e tiro fuori un libro…

“Maestra, ma perché ci leggi sempre libri?!?” chiede un bambino…

“…già… perché?” ribatto io…

“…perché sono belli…” risponde una bambina…

Riprende la parola il primo bambino, quello che aveva posto la domanda iniziale… “Ma non possiamo iniziare subito a scrivere? Non ho voglia di ascoltare la storia…”.

Perché riportarvi questo scambio e non raccontarvi come al solito direttamente della lettura e le mie considerazioni? Perché riportarvi questo commento così “scomodo”?

La ragione è semplice: fa riflettere e, a mio avviso, tutto quanto ci permette di soffermarci a pensare è degno di nota. Fondamentale, nel mestiere dell’insegnante come in quello del genitore, è ascoltare, cogliere i bisogni intrinseci e profondi dei bambini e, da qui, partire per programmare, insegnare, educare.

Leggo il titolo…:

“Che fatica mettere a letto… papà”

“A no… il mio è bravissimo… va a letto da solo, il problema è poi riuscire a svegliarlo!”

“Ce lo leggi perché tra poco è la festa del papà è vero?!’ Io so quand’è. Il 19 marzo. La prossima settimana. Me lo ha detto la mamma”

“Il mio si addormenta in divano…”

“Posso leggere?” chiedo io…

“Sì, va bene, stiamo zitti…”

Svolto la prima pagina, la seconda, silenzio, inizio a leggere…

“Il mio papà è grande e forte, ma… tutte le sere, si ripete la stessa storia… Comincia sempre così: – Non voglio andare a letto!”

“Allora, io cerco di convincerlo con le buone: – Paparino caro è tardi, devi fare tanta nanna per essere in forma domani. E, spesso, da quel momento, le cose si complicano…”

Alzo gli occhi e scopro i bambini silenziosi che si scambiano sguardi di intesa e se la ridono, sembravano davvero dei “grandi” alla presenza di “piccoli” che non esplicitano i pensieri a parole, ma la situazione è così ovvia che si capiscono al volo.

Continuo…

“NO! No! NO! Non voglio! Papà fa i capricci mettendosi a saltare per la casa”

La storia va avanti, riproponendo l’evoluzione tipica del capriccio, finché il bambino deve richiamare all’ordine il papà con tono autoritario e, per calmarlo, gli propone di leggere una storia. Ovviamente una non basta e nemmeno due. Ma quando è troppo è troppo. Segue qualche lacrima, la fatica ad addormentarsi nel proprio letto, l’immancabile bacio della buona notte, la lucina accesa per sconfiggere il buio.

Poi finisce, così, con un finale che non sembra una fine. La fine era scontata, quindi meglio non esplicitarla per non cadere nel banale, ma nemmeno lasciare il libro incompiuto lasciando il lettore a bocca asciutta, con la sensazione che manchi una pagina alla conclusione… verifichi di non avere girato due pagine insieme e… no, è proprio finito. Infatti puntuale come un orologio svizzero ecco un bambino che mi dice…

“Ma maestra, scusa, è finito così? Sicura che non manca un pezzo”

“Vuol dire che ha preso sonno…” risponde una bambina…

“Dorme anche il cane…” aggiunge un altro bambino…

Un fido cagnolino domestico accompagna la storia pagina dopo pagina, una sorta di osservatore esterno seppur parte integrante della narrazione stessa, testimone che la storia si ripete quotidianamente.

Commenti a caldo

“È un libro al contrario”

“Mi fa ridere quando il papà piange”

“Anch’io a volte ho paura del buio”

“Io vado a letto da sola e dormo con la mascherina”

“Mio papà non fa fatica ad andare a letto, ma fa molta fatica a svegliarsi”

“Mio papà a volte viene a letto mio, altre vado io a letto suo”

“Quando mio papà mi porta a letto finisce sempre che si addormenta prima di me”

“Di solito mi porta a letto la mamma e mi legge le storie, se mi accompagna il papà qualche volta mi canta le canzoni con la chitarra”

“Io vado a letto con il papà quando la mamma non c’è perché è via per lavoro”

“A volte io prendo sonno in divano e poi il papà mi sposta a letto mio”

Le illustrazioni di Kris Di Giacomo sono bellissime.

I toni dei colori variano sulla scala dei grigi e dei beige, con qualche punto luce di bianco che si alternano a elementi minuziosi e realistici come ad esempio il lampadario o la poltrona, a disegni molto semplici e scarni quasi li avesse disegnati un bambino (la teiera, la sedia). Anche il modo in cui sono colorati alcuni particolari richiama quello tipico dei bambini con tratti decisi e scattosi, pur rispettando i contorni dell’immagine senza fuoriuscirne, ritroviamo esempi netti nel cappello del papà o nella sua cravatta, entrambi elementi “cliché” che permetto di riconoscere che quel signore lì non è un adulto qualsiasi ma è proprio un papà!

Le illustrazioni quindi risaltano il testo: pulite, essenziali ed esplicite, pur dicendo altro amplificano la narrazione, le danno corpo in un’altra dimensione, quella delle immagini.

I disegni rievocano scene di vita quotidiana a ruoli invertiti. Questo humor così scontato e palese fa ridere un sacco i bambini perché rispecchia la loro ironia e il loro modo di pensare. Questo mi piace di questo albo: riesce a far incontrare grandi e piccoli in una situazione surreale ma comprensibilissima e li fa ridere insieme. Sono convinta che sia indispensabile ridere, sorridere e far ridere con leggerezza e altrettanta serietà nelle situazioni più o meno difficili di ogni giorno perché fa bene, permette di ritrovare la sintonia, di smorzare le tensioni degli animi e di fare le cose di sempre con uno spirito diverso.

Stupendo il bambino che assiste ai capricci del papà, impassibile, a braccia conserte, proprio come se stesse aspettando la conclusione della sceneggiata che, come da copione, conoscendo oramai la fine, è classica prassi che si ripete, insomma, vissuto quotidiano. Incredibile come il bisogno di routine tipico dei bambini (non lo escludo nemmeno per gli adulti) si perpetui anche nel capriccio. Anche quest’ultimo sembra concorrere infatti come possibile rituale prima di mettersi a dormire.

Di quest’albo mi piace…

…come il lettore bambino può riconoscersi e immedesimarsi nelle varie vicende narrate pur essendo un adulto il protagonista. Funziona, e funziona alla grande, probabilmente perché il “ridicolo” enfatizza con ironia i capricci e porta così il bambino a una rinnovata consapevolezza degli stessi. Lo scambio di ruoli rievoca nel bambino il gioco del “far finta”, gioco che adora e lo diverte tantissimo. “Facciamo finta che tu sei il bambino e io il papà”. “Facciamo finta che tu fai i capricci e io ti sgrido”. Il gioco di finzione permette di essere qualcun altro, imitandolo in tutti i suoi comportamenti.

L’andare a letto la sera, per tanti bambini e genitori, diviene talvolta un problema di difficile gestione. Ci sono bambini che vorrebbero guardare cartoni animati ad oltranza, quelli che non vogliono lavarsi i denti, quelli che devono finire i compiti e se ne ricordano sempre e solo all’ora di andare a dormire, quelli che si vogliono addormentare in divano, quelli che vogliono dormire solo a letto con mamma e papà, quelli che vogliono una storia, quelli che ne vogliono due…tre…quattro, quelli che appena si spegne la luce devono andare a fare la cacca, quelli che invece hanno un attacco di sete causata da un’improvvisa nonché fatale disidratazione pre sonnum… Insomma, come per tutto, ce n’è per tutti i bambini e per tutti i genitori, di tutti i tipi. Ogni sera la storia si ripete, l’impresa sembra impossibile. Poi, di fatto, tutti i bambini si addormentano. La sorpresa più grande, pensando ai miei figli, è stato scoprire che esistono anche bambini che vanno a letto e si addormentano da soli, quelli che dicono “vado a letto, buonanotte a tutti”.

Un’ultimissima nota riguardo “il tono autoritario” a cui si fa accenno nel testo, seppur ironizzando…

Inevitabilmente rimanda allo stile educativo che si sceglie di seguire. Ci sono tre principali stili educativi: autoritario, autorevole e permissivo. Ovviamente l’ideale sarebbe essere educatori autorevoli, ma inevitabilmente non sempre è possibile, e per svariate ragioni. Fingere il tono autoritario per richiamare figli e studenti all’ordine  è piuttosto inutile soprattutto se lo stile prevalente è quello permissivo. La chiave che permette allo stile educativo di essere efficace, al di là delle sue sfumature e delle specifiche situazioni, è la coerenza; principalmente con se stessi e, conseguentemente, con le figure educative con le quali si condivide l’esperienza educativa (tra genitori, tra insegnanti, tra genitori e insegnanti…).

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