La povera gente. Un Tolstoy bello da vivere

La povera gente è sempre esistita e, temo, sempre esisterà. Il tempo è passato, il progresso in qualche parte in qualche modo è arrivato ma la povera gente non è riuscito a renderla gente, senza aggettivo. Per chi, come noi, sta bene la povera gente sono quelli che arrivano con i barconi, sono i migranti da paesi poveri, gente povera per soldi e talvolta per cultura (se la intendiamo con i nostri parametri…)

Per Lev Tolstoj, sì proprio quel Tolstoj, la povera gente era chi non aveva da mangiare, chi rischiava la sua vita in mare per portare a casa qualche pesce da vendere o di cui nutrirsi. Non è cambiato poi molto, in fondo.

Era il 1907 quando Tolstoj scrisse questo brevissimo racconto (ebbene si anche Tolstoj sapeva avere il dono della sintesi) a partire da un piccolo poema di Hugo omonimo e per un pubblico di bambini. Il progetto di pubblicarlo in una raccolta per piccoli non mi pare andò in porto ma oggi questo racconta torna in una forma eccezionale grazie a Orecchio acerbo.

La povera gente è diventato un albo illustrato e devo dire che il testo calza a pennello con questa scelta narrativa, le illustrazioni, incredibilmente intense in cui la luce pervade e prevarica il buio, sono di Chiara Ficarelli che sembra davvero aver incarnato lo spirito dell’autore, il travaglio e l’uscita a riveder la luce…

La storia racconta di Jeanne e dei suoi 3 bambini a casa in attesa del padre pescatore i mare durante una tempesta, la donna si preoccupa per il marito, naturalmente, ma ancor d più si preoccupa per i suoi figli che dovrà sfamare da sola se il marito dovesse non tornare dal mare… Un pensiero però le sovviene:quello della sua vicina con 2 bambini il marito perso i mare e anche ammalata. La tempesta non vale a fermare Jeanne che passa gli scogli e va a casa della vicina. La trova morta con i due bambini abbracciati sul letto… Basta una frazione di secondo per decidere di portare con sé i bambini. Poi sopraggiunge il timore per la reazione del marito, se è quando tornerà, nel trovare altre 2 bocche da sfamare… Il marito torna, chiede della vicina e, indovinate un po’ prima ancora di scoprire che quei due piccoli stanno dormendo nel suo letto dice alla moglie che bisogna prendersi cura dei bambini lasciati dalla povera donna….

Alle paure di Jeanne c’è una sola risposta che chiude la storia, apre al sorgere del sole e prelude alla bellissima “foto” di famiglia dell’ultima pagina…

Tutti devono vivere.

Mi sono chiesta :perché “tutti devono vivere” invece di “tutti devono poter vivere?”

Ora, posto che si tratta sicuramente di un problema di tradizione, il “poter” avrebbe aggiunto un’attenzione, un elemento quasi che richiama elementi esterni che debbano essere garantiti perché il poter si realizzi. Invece il “tutti devono vivere” è perentorio, non lascia scampo a nessuno, in nessuna condizione.

La vita prima di tutto, la vita degli altri come se non prima della mia. È preciso dovere morale dell’essere uomo vivere e far vivere.

Non lo trovate sconvolgenteme potente nella sua assoluta semplicità, quasi banalità, questo messaggio?

Che fortuna poter contare su un albo del genere per raccontare che cosa è l’umana natura, a quali vertici può arrivare!

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