Storie di quadri (a testa in giù)

Portate mai i bambini e i ragazzi nei musei?

Come reagiscono davanti alle opere esposte, di qualunque natura esse siano?

Anche per i musei, come credo sia per tutto, il segreto per affascinare, interessare e coinvolgere i bambini, i ragazzi, ma anche i grandi, è la narrazione…..

Volete un esempio di come può accadere questa cosa?

Storie di quadri (a testa in giù) di Bernard Friot, edito da Il castoro, ci porta in una immaginaria galleria museale e ce la racconta come credo raramente potrebbe accadere.

Uno sguardo, un movimento, un dettaglio del dipinto sono l’origine di una storia, perché quel personaggio sta facendo quella cosa? Potrebbe essere innamorato? Cosa è accaduto prima? Cosa succederà dopo ciò che si vede?

I quadri diventano frammenti bloccati nel tempo di storie che li prevedono e li seguono, il tempo della narrazione non è lo stesso del tempo di visita, o almeno può non esserlo.

Quello che tenta Friot è un approccio a misura di giovane pubblico dando spazio e in qualche modo sistematicità a ciò che naturalmente il bambino o il ragazzo fa: leggere il reale intorno, qualunque esso sia, a partire dalla propria capacità immaginativa, ipotizzare cause e conseguenze,creare storie a partire da minimi indizi verbali (come faceva Rodari) o visivi che siano. Credo sia una capacità che si sta via via perdendo, quando incontro le classi sento sempre più allontanarsi questa apertura e disponibilità a lasciar le storie crescere dentro di sé ma penso sia dovuto ad una frustrazione di questa capacità. È un esercizio quello della fantasia, o della fantastica, come direbbe Rodari, e se bisogna esercitarsi e se l’insegnante o l’operatore didattico di un museo devono essere in qualche modo i trainer di questa ginnastica bisogna che si faccia esercizio, si raccontino le storie, si dia il LA perché l’immaginazione lavori all’unisono della realtà.

Così anche la visita al museo potrà sembrare non più una punizione, come pensa inizialmente il protagonista della visita al museo di Friot, ma un dono, o, almeno, una esperienza da ricordare con piacere e magari da voler iterare.

Il libro oltre ad essere molto bello per ciò che narra ha anche un’impaginazione che lascia intendere un enorme lavoro dietro, mi ha sempre invece lasciato perplesso il titolo che, per altro, non credo sia stato scelto dall’autore: nella storia non solo non ci sono quadri a testa in giù come esplicitano il sottotitolo e la copertina, ma il processo di creazione narrativa di Friot in questo caso non riguarda mai un ribaltamento narrativo né una sovversione del contenuto delle immagini, né in senso ironico né in senso puramente narrativo. Quindi, perché questo titolo? Mah, scelte editoriali non sempre felici che forse non tengono conto che i lettori andranno oltre la copertina e, dopo aver letto il libro, sul titolo concluderanno che chi l’ha pensato o non ha letto la storia o li ha voluti in qualche modo attirare in maniera facile e decisamente poco degna.

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