Guardo per sapere cosa vedo. Intervista a Massimiliano Tappari
Attenzione, quello di oggi è un post eccezionale ad un autore che amo moltissimo e cui spesso dedico attenzione e che spero così conosceremo insieme un pochino di più.
Ladies and gentleman, flower heads….
MASSIMILIANO TAPPARI!!
Quando abbiamo avuto il piacere di averti qui a Venezia a tenere un corso avevamo parlato di “poesia impropria” per il tuo lavoro, cosa intendi con questa espressione?
Quando da giovane studente frequentavo l’Accademia di Belle Arti avevo a che fare con artisti che oltre a insegnare o a dipingere dichiaravano di essere anche “poeti in proprio”. Magari avevano pubblicato uno o due libretti di versi scelti. I versi erano sempre scelti, mai una volta che fossero casuali. Però ogni volta che loro dicevano “sono un poeta in proprio”, io fraintendendo capivo “poeta improprio”. Spesso i fraintendimenti sono occasioni per capire meglio la realtà. Del resto alcuni erano davvero impropri, e non solo come poeti. Siccome non mi piace tutto ciò che appare appropriato anch’io a modo mio mi sento un poeta improprio. Di solito l’appropriatezza prevede un’unica risposta corretta. Sempre all’Accademia c’era un professore di estetica che all’esame ti chiedeva di fargli tre domande. Era la prova più difficile di tutte. Io mi ricordo che gli avevo chiesto perché il punto interrogativo avesse la forma di una gruccia. Per appendere i nostri dubbi, era la mia interpretazione. Ma ognuno può immaginare la sua risposta impropria. A volte mi chiedo dove abiti la poesia. La risposta più interessante me l’ha data l’assistente vocale del mio telefono. Quando io e mia figlia ci prepariamo per andare a scuola ogni tanto chiediamo all’assistente vocale dove siano le scarpe. Non ci azzecca mai, e le scarpe sono finite sempre sotto il divano. Rispetto alla domanda “qual è il tuo poeta preferito?” l’assistente mi ha invece fornito una risposta che sottoscrivo: “mi piace pensare che la poesia è ovunque. E in questo caso tutti possono essere poeti”.
Cosa pensi sia importante e ti piace far arrivare al giovane e piccolo lettore?
Non scrivo mai pensando a un piccolo lettore. Anzi, non penso nemmeno che ci siano lettori piccoli e lettori grandi. Scrivo e fotografo ciò che ha effetto su di me. E lo perfeziono guardando che effetto ha sulle persone che incontro. Si impara molto da occhi sgranati e da sbadigli. I bambini che incontro sono i miei più inconsapevoli e affidabili editor. Ho trascorso l’infanzia a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta e non sono più sceso. Finché non mi disarcionano voglio rimanere lì. Tutti abbiamo un bambino che pascola dentro di noi, c’è chi lo nutre quotidianamente con erba fresca (l’erba dei prati, intendo) e chi lo lascia morire di stenti.
Pensi che l’estetica che un autore persegue abbia a che fare con l’etica?
Se c’è una rima di solito è vero. In questo caso non saprei. Io nel mio piccolo faccio quello che so fare. Ogni autore può costruire infiniti castelli di ragioni e ragionamenti a posteriori sul proprio lavoro e ricondurre tutto a una morale. Mi piacciono gli autori che raccontano belle storie senza preoccuparsi di veicolare un messaggio. Se devi mandare un messaggio è meglio che scrivi una mail o una cartolina. Da anni mi occupo semplicemente di ciò che mi occupa. Chi mi incontra o legge i miei libri di solito dice che nota qualcosa a cui prima non faceva attenzione. Penso sia un bell’effetto quello di allargare gli orizzonti. Facciamo tutti fatica a vedere ciò che abbiamo sotto gli occhi proprio perché è sotto. Bisogna scavare.
Che cosa ti piace di più del progettare e creare libri?
Il dono dell’ubiquità (e anche dell’obliquità) che i libri sanno donarti. Mi piace l’idea che ti spingano a incrociare il tuo sguardo con un altro autore, con l’editore, o più da lontano, con un lettore. È sempre affascinante come una storia che fino a ieri era solo nella tua testa a un certo punto se ne va per il mondo acquisendo una sua vita autonoma. Gli autori sono autisti che ti accompagnano dentro i paesaggi e le storie che hanno imbastito. Detto questo bisogna anche ridimensionare il valore che attribuiamo all’oggetto libro. La prima galleria d’arte che un bambino visita venendo al mondo non è un libro illustrato ma il mondo stesso. Non siamo nati per leggere, semmai leggiamo per rinascere sotto altre forme. Per vivere tutte le vite che ci sono mancate.