“Le cose che passano” di Beatrice Alemagna
Dopo il Disastrosissimo disastro di Harold Snipperpot mi era capitato di chiedermi cosa sarebbe successo dopo: che strada, che narrazione, ci avrebbe proposto Beatrice Alemagna dopo averci accompagnato, insieme a Eddie, il ragazzino di Un grande giorno di niente e Harold, in quello che io ho vissuto come un percorso?
La risposta è arrivata con questo ultimo albo edito da qualche mese, un libro che si stacca dai precedenti e che sembra suggerire un legame più con Che cos’è un bambino che con altri titoli della Alemagna più o meno recenti.
Sto parlando di Le cose che passano, edito in Italia da Topipittori.
Un catalogo, ecco qui la prima vicinanza con Che cos’è un bambino, delle cose che, con il tempo, passano.
Passano o cambiano?
Ammesso di vedere una sfumatura di senso tra le parole direi che le cose passano: siamo nel pieno flusso, nel πάντα ῥεῖ, nel “tutto scorre” di Eraclito che ci ricorda che tutto ciò che ci circonda, e ciò che siamo, passa.


L’espediente narrativo e tecnico usato dalla Alemagna per svelare il passare del tempo, l’intervento di un cambiamento, è il foglio traslucido che sposta le cose da un lato a all’altro delle pagine conferendo al racconto quel cambiamento spaziale utilissimo a rendere il cambiamento temporale.


Se vi state chiedendo se, nella visione dell’Alemagna, sia un bene o un male che le cose passino, ovvero se ci sia un giudizio di qualche tipo in tutto questo scorrere di vita, mi pare di poter dire che il libro non ha prese di posizione, lascia spazio all’interpretazione empatica di ogni lettore, almeno riguardo alcune cose: che la paura passi è un bene o un male? Che il sonno passi così come i capelli e i pidocchi è un bene o un male?
La leggerezza e grande capacità con cui l’autrice accosta cose fondanti, più che fondamentali, a cose minime ci permette di fare questo gioco del “bene” e ” male” con più facilità e semplicità, forse, ma vi accorgerete, credo, che in ogni caso non c’è senso di sollievo né, al contrario, di tristezza nemmeno nei passaggi più facili da rendicontare nel conto della vita: i pidocchi e i capelli, ad esempio.
Nell’andirivieni di cose che passano il movimento aumenta il ritmo, ce lo dicono le cose che si susseguono e ce lo dicono, mi pare, anche i colori, verso la fine fanno capolino quei colori tendenti al fluo, quel fucsia carico che era stato la cifra del Cicciapelliccia, che può avvertire il lettore che qualcosa sta accadendo. Siamo su una strada che ha una sola e unica destinazione a cui ci prepara la terzultima tavola con la polvere che torna sempre ma a volte sparisce. La signora vestita di fucsia che scopa serena è lì a dirci, in quell’attimo in cui sembra sospendersi il passare del tempo, che ci sano cose che anche se passano, poi ritornano.

Quindi:
tutto il libro ci parla di ciò che passa,
la terzultima tavola introduce qualcosa che passa solo per poco ma che poi ritorna sempre
e il gran finale, a cui arriviamo pronti grazie al climax studiatissimo, ci porta là dove c’è quella sola ed unica cosa che non passa, perché non può passare, MAI.
L’ultima tavola rafforza il mai per non farci venire alcun dubbio (e in questo movimento di climax e di apice finale dato dalla dichiarazione, d’amore implicita o esplicita che sia, verso quello che possiamo immaginare essere un figlio, comunque un piccolo, mi ha riportata con la mente dritta dritta al mio amatissimo Piccolo Bubo). Il lettore, piccolo o giovane che sia, non deve avere alcun dubbio non sul fatto che le cose cambino ma sul fatto che c’è qualcosa che non cambia mai! Questo tutto sommato non è un libro sulle cose che passano ma su ciò che invece NON passa ma evidentemente la costruzione per litote rende il tutto estremamente più forte e meno sdolcinato!
Come spesso accade la grandezza di un grande autore sta nella capacità di essere sempre se stesso rinnovandosi ogni volta e mi pare che la Alemagna sia esempio perfetto di questo. I suoi libri sono una continua ricerca ma anche un continuo tornare sui luoghi narrativi e stilistici del cuore e Le cose che passano mi pare sia un esempio perfetto di questo.
Se dovessi individuare un sentimento che ho sentito muoversi tra queste pagine direi la malinconia ma non una malinconia triste, no, quella malinconia che accompagna la consapevolezza, che ogni bambino prima o poi (direi prima) inizia ad avere, della necessità di passare oltre, di crescere, di vedere modificate le cose attorno a sè, il tempo di gioco, i vestiti, l’altezza, le persone intorno e tutto ciò che vi viene in mente. Una malinconia che può prendere alla pancia, e lo fa davvero se le diamo la possibilità di esprimersi, ma che trova sempre soluzione nell’abbraccio e nella certezza, che noi adulti dobbiamo rendere inscalfibile, assoluta, che ci sia davvero quel qualcosa che non passa e non passerà mai.
E questa certezza è talmente certa che non serve nemmeno nominarla, c’è. Questa cosa non passa mai, anzi questa E’ LA COSA che non passa mai.
Ecco ristabilito l’equilibrio tra essere e desiderio, tra passato e futuro in un sentimento eternamente presentificante nel suo incessante e necessario mutare.
Vi consiglio di andare a leggere una bella intervista a Beatrice Alemagna fatta da Givanna Zoboli sul blog dei Topipittori qui.
