“Cecile” di Marie-Aude Murail
Cecile di Marie-Aude Murail, edito da Giunti, di tutti i romanzi suoi, uno più bello dell’altro, è forse quello in cui più si sente, ed anche in qualche modo si tematizza, la centralità dell’infanzia.
La protagonista questa volta è una giovanissima maestra, Cecile appunto, 23 anni alla sua prima esperienza in una prima elementare in centro città (il dato non è secondario visto che viene molte volte ribadito man mano che le difficoltà aumentano) con bambini molto diversi tra loro, tra cui 12 immigrati ivoriani a cui si tenterà di negare il visto umanitario.
Cecile è una maestra che sta bene solo con i suoi bambini, che dalle storie e nelle storie trova il modo di comunicare e raccontare la realtà ai suoi studenti, ma non riesce ad entrare in relazione con gli adulti, Cecile è più che altro terrorizzata dagli adulti anche se poi la situazione cambierà man mano che i rischi per i piccoli Baulè, i bambini ivoriani, crescono e lei reagirà finalmente da adulta tra gli adulti a favore dei bambini.
Il romanzo inizia piano piano, la Murail è una professionista del dosaggio del ritmo narrativo: i primi capitoli servono sempre, in questo caso sicuramente, a farci adattare alla narrazione, all’ambientazione e a farci fare un’idea piuttosto precisa di personaggi e caratteri. Si tratta di un approccio quasi lento, in cui la narrazione tiene il lettore per la sua qualità di scrittura ma non per intreccio di eventi o crescita di tensione. Bisognerà aspettare parecchio prima che i vari indizi di problematicità esplodano e diventino costruzione intrecciata sempre più rapida in una crescita costante che cederà e rallenterà solo nell’epilogo che ci riporta giù dalle montagne russe della narrazione e ci lascia sereni così come ci aveva accolti nei primi capitoli.
Cosa c’è in questo romanzo? C’è la scuola, in primis, la cura, l’educazione, i diritti dei minori e dei minori migranti in particolare, il senso civico, la costruzione della famiglia (eccezionali i cammei delle singole famiglie in cui sbirciamo in alcuni capitoli) e della persona, la speculazione edilizia e quella sui migranti.
Tanti drammi e vite che si sovrappongono e si muovono all’unisono e che stonerebbero tutte insieme se il punto di vista non fosse esterno ed armonizzatore, in grado di farci sentire in quel rumore il suono dell’umanità e della sua diversità. Su tutto, in questo romanzo che è anche un inno alla lettura e alle storie, il potere della scuola che diventa letteralmente, qui nel romanzo ma che deve sempre essere sentita dei bambini e ragazzi, una fortezza che li protegge in virtù di un diritto e nell’esplicazione di un dovere.
Succede a tutti, grandi e piccoli, di dover affrontare momenti difficili. Ma voi siete qui per imparare a leggere, a scrivere, a contare. Voi siete qui per preparare il vostro futuro e nessuno può impedirvelo. Quando pensate alla vostra scuola, pensate a una roccaforte.
Il senso civico, al limite del fastidioso, pervade la visione del direttore Montoriol che fa al tempo stesso da padre (assente nella vita familiare di Cecile) e mentore. Serpeggia tra le pagine dall’inizio alla fine l’amore che fa capolino e che inizialmente non appare come diverso da quell’amore verso i bambini e verso la giustizia, è una deviazione, anzi, una parte di questo amore, che ha per nome la cura, e che poi diventa invece alla fine amore romantico che però si nutre di cura e giustizia.
Un romanzo dove trovare tutto, soprattutto e sempre, la buona lettura, la leggerezza, l’ironia, la vita e i mondi altri.