Il correlativo oggettivo

Uno dei termini critici che più mi piace, che più trovo carico di senso proprio e lato e con cui più amo lavorare, è “correlativo oggettivo”.

Sì, avete ragione, é una locuzione, non un termine!

Dunque, la locuzione “correlativo oggettivo” non nasce e non è propria del lessico specifico della teoria della letteratura ma è stato preso dalla poesia: fu Thomas Stearn Elliot a teorizzare, per la propria poesia, il termine objective correlative nel saggio The sacred wood, poi il concetto venne ripreso e riteorizzato dal nostro Montale.

Sarà per questo che sento profumo di limoni ogni volta che incontro un correlativo oggettivo?

Non è la prima volta che la teoria e la critica letteraria saccheggiano la poesia per dare sostanza ai propri concetti : l’altra locuzione basilare della critica letteraria, ovvero la “sospensione dell’incredulita” viene direttamente da Coleridge, perchè i poeti ragionano a lungo e teorizzano su cosa muova e come si costruisca la tensione poetica – che sia prosa o poesia è del tutto indifferente – altro che talento ed intuizione!

Talento, e consapevolezza, e studio, e tecnica!

Ma torniamo al correlativo oggettivo che Elliot ci ha regalato, cos’è?

“A set of objects, a situation, a chain of events which shall be the formula of that particular emotion”

In Montale aumenta il valore simbolico del correlativo oggettivo e d’altra parte siamo passati dalla letteratura inglese a quella italiana a maggior densità simbolica e metaforica.

Ma cos’è il correlativo oggettivo? Se proviamo a pensarci l’espressione è intuitivamente comprensibile: il correlativo è qualcosa che entra in correlazione, in relazione, con qualcos’altro. In che modo?In modo oggettivo cioè reale, non soggettivo, molto spesso un’oggettività che diventa oggettualità, ovvero la correlazione è rappresentata da un oggetto e da una situazione oggettiva.

Cosa vuol dire tutto questo per la letteratura per l’infanzia?

Proviamo a fare qualche esempio

Proviamo a cercare, nelle storie che sono metafore d’infanzia, dei correlativi oggettivi del gioco, ad esempio.

Il primo libro che mi viene in mente in questo senso è senz’altro La sedia blu di Claude Boujon edito da Babalibri. Un albo in cui i protagonisti Bruscolo e Botolo teorizzano la straordinarietà della sedia come oggetto di gioco che però ad un certo punto, proprio per la eccezionalità dell’esperienza che i due protagonisti ne fanno, perde la sua essenza di oggetto per diventare correlativo oggettivo del gioco stesso…

Correlativo oggettivo del gioco e della capacità di creare giochi può essere anche la buca dell’omonimo albo illustrato di Emma Edbage edito da Camelozampa

Se invece penso a ciò che può essere desiderato, all’idea stessa del desiderio e della bramosia non posso che pensare ai cappelli della trilogia di Jon Klassen: il pesce, l’orso e le tartarughe protagoniste rispettivamente di Questo non è il mio cappello, Voglio il mio cappello e Toh, un cappello (tutti editi da Zoolibri), individuano nel cappello, qualunque origine abbia, tutto ciò che può soddisfare il proprio desiderio e la propria pulsione a desiderare. Il cappello è dunque correlativo oggettivo del desiderio e della suo appagamento.

Ultimo esempio non posso che prenderlo da Anthony Brown e dall’albo Gorilla (edito da Orecchio acerbo): qui il gorilla è allo stesso tempo correlativo oggettivo dell’affettività, del calore ricercato, della figura paterna ed anche della solitudine, per la bambina protagonista; ma se conoscete Brown vi verrà facile pensare che il gorilla sia anche, in senso più ampio, nella poetica dell’autore, il correlativo oggettivo dell’umanità, ovvero dell’espressione delle emozioni umane.

Teste fiorite Consenso ai cookie con Real Cookie Banner