C’era due volte il barone Lamberto
Ho riletto in queste sere, ad alta voce, a casa, per i miei figli, C’era due volte il barone Lamberto come ricordo mia madre lo lesse a me ad alta voce quando ero bambina.
Nel ricordo risuonavano le voci che i nominatori di Lamberto facevano e che mia madre riproduceva facendomi ridere, nella realtà del presente, tornando su questo testo che è rimasto nella memoria come un caposaldo della mia formazione e responsabile della passione letteraria, ho trovato un mondo nuovo, un libro ancora più eccezionale di quanto i ricordi d’infanzia sappiano rendere eccezionali le cose.
C’era due volte il barone Lamberto è uno degli ultimi testi concluso e pubblicati da Gianni Rodari prima che morisse prematuramente nell’aprile del 1980; il romanzo uscì nel 1978 e, -sarà, spero che lo sia almeno, una mia sensazione – ma credo sia una delle opere meno conosciute e lette del grande Rodari in Italia. Ora, di quanto in questo Paese si sprechi il nome di Rodari senza conoscerne davvero la poetica prima che i contenuti, si è detto e scritto più che a sufficienza; è ormai un dato assodato che non voglio qui ribadire .
Ma vorrei invece spezzare 10-100 lance in favore di questo romanzo che trovo incredibilmente eccezionale a prescindere (ammesso che se ne possa prescindere) dal suo autore e dal suo tempo.
Facciamo finta che vi stia raccontando una novità editoriale, d’accordo?
Dunque la storia narra di un ricchissimo e vecchissimissimo barone Lamberto che abita l’isola di San Giulio, al centro del lago d’Orta a Omegna (città natale dell’autore reale che tanto s’impiccia in questo romanzo con l’autore implicito – vedi anche l’epilogo della storia), insieme al suo fedelissimo e direi innamoratissimo maggiordomo Anselmo. Lamberto soffre di tante malattie quante le lettere dell’alfabeto ed ogni giorno le verifica una ad una con il catalogo di Anselmo che assai ricorda quello di Leporello per Don Giovanni.
Un giorno però un vecchio saggio durante un viaggio in Egitto svela a Lamberto il segreto della vita eterna: “L’uomo il cui nome viene sempre nominato non muore mai”. Ecco che Lamberto assume 6 persone, le chiude in soffitta, attrezza la casa di microfoni e ripetitori e li mette a ripetere ininterrottamente il suo nome 24 ore su 24. Lamberto ringiovanisce, eccome se ringiovanisce!
Il catalogo di Anselmo perde ogni importanza, Lamberto è ormai un quarantacinquenne in forze e sportivissimo come non lo è mai stato! Quando i sequestratori attaccano l’isola e inviano a 24 direttori di banca accorsi a seguire da vicino le vicende del drammatico evento in corso sull’isola di San Giulio (il sequestro di Lamberto nella sua stessa casa) un pezzo di dito di Lamberto o un intero orecchio per convincerli a pagare il riscatto… ecco che il dito e l’orecchio rinascono! Quando il perfido e avido nipote Ottavio accoltella lo zio nel sonno per averne l’eredità Lamberto si sveglia più forte di prima….
Tutto fila liscio, o meglio al contrario di ciò che la logica prevederebbe ma nel verso dritto della storia, fino a quando Ottavio non intuisce e addormenta i 6 abitanti delle soffitte… Ecco che Lamberto muore in pochissimo tempo. Un enorme corteo di barche con tanto di filarmonica galleggiante segue il feretro e tutti a rimpiangere il buon vecchio, ricchissimo, Lamberto…e a nominarlo.
Lo nominano tanto che ad un certo punto bussa dalla bara, si fa a aprire e dice “E’ tutto sbagliato qui!”
Non svelo il finale che riserva non pochi colpi di scena di ogni tipo: economico, anagrafico e persino sentimentale ma vorrei invece soffermarmi sulla struttura del romanzo.
Rodari dice più volte che questa è una fiaba, solo una fiaba al rovescio, in qualche modo, che trae spunto dalle acque ribelle del lago di Omegna che contro ogni logica (apparente) vanno verso l’alto invece che defluire verso il basso come la natura ordinerebbe loro di fare… Ma siamo anche nel pieno di un romanzo giallo, quello che verrebbe definito – secondo una visione deteriore della letteratura – un romanzo di genere.
Ma scusate, se vogliamo giocare a cercare i generi che Rodari sa camuffare nel romanzo allora dove lo mettiamo il romanzo umoristico? E il dramma familiare? E l’apologo politico?
Inutile, non ci sono schemi, non ci sono gabbie che tengano, nemmeno quelle che lui stesso ha cercato di indicarci come strada per depistarci (lo faceva anche Calvino con le Città invisibili dopotutto) la letteratura non ha aggettivi, come dice la Andruetto, e non solo rispetto all’età dei propri lettori, ma nemmeno rispetto alla qualificazione dei propri contenuti…se una storia può dirsi contenuto…
Rodari non si smentisce mai, la storia del barone Lamberto è un apologo politico almeno tanto quanto lo fu, dichiaratamente anche se poi tutti se ne sono ampiamente fregati o dimenticati, Il barone rampante di Calvino.
Persino l’aspetto della sovversione degli stereotipi di genere trova spazio efficace per esprimersi nella figura della signora Delfina e lo rileva benissimo Marzia Camarda nel bel saggio La savia bambina dito da Settenove.
Tutto, ma proprio tutto c’è nel c’era due volte il barone Lamberto, persino, se non soprattutto, la possibilità di rinascere, di poter tornare ad essere ciò che non si è stato ( e il gioco dei verbi, la sovversione della consecutio qui vi assicuro è voluta e non è uno dei miei soliti refusi).
Un augurio per il prossimo anno scolastico? Che questo libro entri in tutte le classi!