“Hai la mia parola” di Patrizia Rinaldi

Hai la mia parola, di Patrizia Rinaldi, edito da Sinnos, è un romanzo che più che essere raccontato merita di essere letto.

E’ uno di quei pochi romanzi infatti, ne discutevo l’altro giorno con l’amica insegnante che mi ha consigliato il libro, che quasi chiedono a gran voce di dar loro parola, parola ad alta voce.

Una lettura collettiva, una narrazione personale, in prima persona, quindi non corale, ma che si presta moltissimo alla lettura in pubblico mettendo di fatto in scena ciò che accade nella seconda e terza parte del romanzo quando la narratrice protagonista, Nera la zoppa, diventa la Riccia cantastorie che incanta i paesini in cui si trova a rifugiarsi.

Hai la mia parola è al tempo stesso un romanzo scuro – un giallo in cui le miserie e le piccinerie dell’animo umano che chissà perchè si dice ancora umano, vengono tutte a galla – ma è allo stesso tempo un metaromanzo sulla lettura, sulla narrazione, sul potere delle storie e, ancora una volta, sul potere della parola (letta e scritta) che rende liberi o quantomeno, come dice Rodari, non schiavi!

Il romanzo si divide in 3 parti che corrispondono a 3 alfabeti, una lettera per ogni passo narrativo. La narrazione è tutta in prima persona, le protagoniste sono Nera, la ragazza zoppa maltrattata e vista come mostruosa nel suo paesino e che però è l’unica che sa leggere e scrivere e a cui si dovrà il ribaltamento delle sorti della storia; Mariagabriela, la sorella bella e “perfetta” di Nera che a lei è legata da un legame d’anima più ancora che di sangue; e Michelino, il ragazzo che dalla seconda parte del romanzo in poi segue ed accompagna e sostiene Nera nella ricerca spasmodica della sorella Maragabriela “vendita” al crudele signorotto del paese come cameriera e come segreta amante e fattrice.

Siamo in Sardegna nell’epoca in cui da pochissimo si è affrancata dal governo Spagnolo e dove la prepotenza del più forte regna sovrana, l’atmosfera e il respiro affannoso delle popolazioni che stentano la vita sull’isola si sente forte e chiaro nella narrazione. Solo i protagonisti (ed alcuni aiutanti dei protagonisti come la suora spagnola che ha iniziato Nera alla lettura) spiccano nella desolazione collettiva a cui la scrittura della Rinaldi non risparmia nulla.

Non saprei dire bene il motivo ma questa scrittura che direi quasi materica mi ha richiamato alla mente moltissimo quella tradizione narrativa napoletana e non solo in cui il fantastico (direi al limite del surreale talvolta) e la materia più cupa e bassa riescono ad armonizzarsi in una scrittura che sembra plasmata con le mani. Ho pensato alla Ortese, alla Morante, complice forse anche l’ambientazione isolana della storia di Nera.

Hai la mia voce può anche essere letto come un “libro ponte” uno di quei libri che, ad esempio, cattura i lettori amanti dei gialli e delle storie avventurose ma che allo stesso tempo insinua pensieri ed azioni sull’atto stesso della lettura e dell’ascolto… L’unica cosa che ho pensato finendo di leggere questo romanzo è che mi sarebbe proprio piaciuto se in classe un’insegnante lo leggesse ad alta voce!

“Nel mio sogno, che a volte mi pare utopia, a volte preghiera, altre volte rivoluzione, esiste un insegnamento garantito a tutti: a ogni bambino.

Immagino luoghi dove possano imparare […] Ai bambini si deve insegnare a leggere, a scrivere, a volere una vita che si possa chiamare così”.

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