Ho dimenticato l’ombrello
Fino alla maggior’età non ho mai perso né dimenticato il mio ombrello che era tutto colorato, ma una volta dimenticato quell’ombrello mitico chissà dove ho iniziato a perderne uno dietro l’altro e benché i miei ombrelli non siamo mai stati neri e compiti come quello protagonista di questo splendido piccolo libro mi piace pensare che abbiano avuto una vita altrettanto avventurosa.
Ho dimenticato l’ombrello di Franco Matticchio è un libro senza parole, edito dalle bellissime edizioni Vanvere in cui l’una dietro l’altra si susseguono senza apparente soluzione di continuità singole tavole in cui un banalissimo ombrello nero col manico marrone, alla Golconda, si trova nelle situazioni più strane.
Il titolo ci dice che il narratore non è l’ombrello e che esso non è nemmeno il protagonista della focalizzazione essendo essa solo illustrativa e solo esterna. Siamo di fatto spettatori, come al cinema, come suggerisce la copertina del libro. Lì il cinema sembra essere uno dei tanti posti dove l’ombrello si è trovato ad essere, chissà forse dimenticato proprio lì, ma può anche essere il luogo della scoperta in cui veder passare il proprio film, la propria vita per immagini…

Ho anche pensato: e se l’ombrello fosse sempre lo stesso o quanto meno se si trattasse di volta in volta di possibilità di “perdita” e di esperienza diverse?

Il fatto che alcune illustrazioni si richiamino con una consequenzialità logica non mi convince in questa seconda ipotesi interpretativa ma una cosa è certa: se il testo non è isotropo (e il testo iconico è testo) e le interpretazioni del testo e il piacere ermeneutico si trova proprio in quegli interstizi e soglie della non isotopia, qui c’è spazio per tante idee, tante interpretazioni e soprattutto tante storie.

L’ombrello che si esercita alla sbatta come è con la ballerina, l’ombrello che aspetta la metro insieme ad altri o che si appoggia al muro (del pianto) sono tutti inizi o continui di una o tante narrazioni su cui potremmo esercitare ogni tipo di gioco.
Come già con Animali sbagliati,sempre edito da Vanvere, Matticchio cerca una strada giocosa che si armonizza con diverse età e che offre spunti di varia natura e testa muta, qui più che negli Animali Sbagliati, per lasciare spazio alle parole di chi legge, che restino nella mente o che escano in un confronto.
Pensando alle centinaia di classi di lasciami leggere e alle migliaia di classi in generale, un bel confronto divertente sulle storie e la loro costruzione a partire da un ombrello dimenticato sarebbe forse una bella opportunità di lavoro collettivo.
