La grande fabbrica delle parole
Questo post è scritto da Chiara Costantini che cura la rubrica “Un libro in cartella” ogni due giovedì.
La grande fabbrica delle parole
Età: dai 4 anni
Pagine: 40
Formato: 21x21cm
Anno: 2011
Editore: Terre di mezzo
Autore: Agnes de Lestrade
Illustratore: Valeria Docampo
Le parole…
Cosa sono? Quanto sono importanti? Che valore hanno?
Curioso l’universo delle parole…
Per qualcuno parlare non è assolutamente un problema… anzi le parole escono con una tale fluidità che talvolta dimenticano il proprio significato. Per qualcun altro parlare è difficile, una vera e propria impresa.
La scelta dell’albo da mettere in cartella questa settimana viene sulla scia di “Telefonata con il pesce” e della corrispondenza in classe (“Posta per la Tigre” e “Caro Giraffa, Caro Pinguino“) per continuare una riflessione sulle parole. Sul significato che hanno, sul pensiero che sta dietro a ciascuna di esse prima di esser pronunciata, sulla produzione orale e scritta in relazione al contesto.
Capita…
che durante i 15 minuti di lettura individuale e silenziosa quotidiani dedicati al Progetto “Lasciami Leggere” io non riesca a leggere il mio libro perché ogni duepertre qualche alunno mi chiede… “Chiara, cosa vuol dire…”
Capita…
che qualche volta scappi una “parolaccia” (“Non l’ho detta…”, “Mi è scappata…”, “Anche lui ne ha detta una…”) o qualche frase “cattiva” (“Non sei più mia amica”, “Per colpa tua abbiamo sbagliato tutti”, “Ti odio”).
Capita…
che a una domanda, sia essa di contenuto o personale, vi sia come unica risposta il silenzio, a seguire l’attesa, a seguire un mio “Prova a spiegarti” e poi un “Vorrei… ma non trovo le parole”.
Per fortuna a tutto c’è un rimedio o perlomeno ci si può provare.
Se non si conosce il significato di una parola, ci si può far aiutare dal contesto in cui è inserita o la si può cercare nel dizionario. I primi approcci con il grosso librone sono avvenuti l’anno scorso, in classe seconda primaria, ma quest’anno lo si può usare con più dimestichezza.
A volte, semplicemente, non comprendono una parola perché la leggono male, omettendo qualche lettera. Altre, sbagliano l’accento e non la riconoscono, così, una parola di uso comune, diviene un termine sconosciutissimo.
Le “parolacce”, si sa, bisogna imparare a tenerle a bada e per qualsiasi improperio c’è un sinonimo corrispondente non volgare.
Lo stesso vale per le “cattiverie”, per frenarle basta usare un po’ di empatia e mettersi nei panni del destinatario a cui son dirette. Di punto in bianco la prospettiva cambia.
Ma se non si hanno a disposizione le parole che servono per parlare, per rispondere, per spiegarsi, come si può fare?
Non è semplice.
Innanzitutto la causa. Può dipendere da molteplici fattori. Un lessico povero legato al contesto familiare, un’emotività fragile, una timidezza conclamata, difficoltà o disturbi del linguaggio, la società e i modelli educativi proposti (dal costante parlare in slang o per abbreviazioni per render tutto un po’ trap).
Di fatto comunicare è un’esigenza tipicamente umana, in parte innata e in parte appresa. Si può esser educati ad ascoltare e parlare. Si può arricchire il lessico.
Oggi in cartella: “La fabbrica delle parole”
Questo albo illustrato ha a che fare, lo suggerisce il titolo stesso, proprio con le parole!
Di forma quasi quadrata, dimensioni medie, copertina rigida.
Non è mio, me l’ha prestato un mio alunno.
Le illustrazioni, dai colori tenui ma anche tetri e quasi monocromatici, riportano all’ambiente e all’atmosfera noir della città industriale. Solo qualche sprazzo di rosso rimanda a una possibilità di riscatto.
Veniamo allora alla lettura vera e propria.
Prendo il libro. Mi siedo sulla cattedra (sì, sì, lo so, “non si fa”) e inizio a leggere.
C’è un paese dove le persone
non parlano quasi mai.
È il paese della grande Fabbrica delle parole.
Alla fabbrica delle parole si possono trovare parole per ogni occasione, parole sfuse, discorsi e… addirittura le parolacce.
Parlare costa molto.
Chi non ha soldi fruga, a volte,
nei cassonetti della spazzatura.
Ma le parole che vengono buttate via
non sono molto interessanti:
ci sono un mucchio di carabattole e fichi secchi.
In questo strano paese, per poter parlare bisogna comprare le parole. Ogni parola ha un prezzo che varia in base al valore delle parole stesse. Le parole più importanti o difficili da dire costano di più. Ovviamente chi è ricco è agevolato.
Il protagonista della storia, Phileas, è innamorato della timida Cybelle ma non è abbastanza ricco per acquistare le parole d’amore necessarie a dichiararsi.
Un dolce incontro che nei suoi sviluppi, sottolineati anche cromaticamente dalle illustrazioni in cui via via arriva a prevalere il rosso, dimostra come oltre alle parole siano importanti anche i gesti.
Commenti a caldo…
La grande fabbrica delle parole… “Che cos’è una fabbrica?”
“Non sai cos’è una fabbrica? Dove producono delle cose… dal cibo a strumenti vari… insomma tutto”
“Chiara, dì un po’… ti piacerebbe se noi parlassimo un po’ meno, eh?!?”
“Cosa sono le carabattole e i fichi secchi?”
“E ventriloquo? Filodendro?”
“Sai che a volte con mia nonna ci divertiamo a dire le parole al contrario?”
“A me piace parlare e dire parole difficili”
“Io preferisco stare zitto…”
A completamento delle parole
Le parole hanno un significato ma parte del loro significato dipende dal modo in cui vengono pronunciate, un connubio di testa e cuore. Alle parole si unisce l’importanza dei gesti, della comunicazione non verbale che non è un linguaggio a sé stante ma completa quello che le parole non dicono… un sorriso, un bacio.
Oggi più che mai avremo bisogno di parole per esprimere pensieri, emozioni, sentimenti.
Oggi più che mai avremo bisogno di integrare le nostre parole con sorrisi, baci e abbracci. Ma ciò non è possibile. Le nostre bocche sono coperte da mascherine. Baci e abbracci sono banditi.
Eppure…
Eppure Phileas ci mostra che è possibile affrontare la dura realtà.
Come?
Con i mezzi a disposizione, ovviamente, usati con amore e sincerità. Una vera sfida, una nuova sfida. Trovare le parole, accompagnarle con i gesti che ci sono rimasti a disposizione o inventarne di nuovi.
Ecco allora l’importanza degli sguardi, l’espressività degli occhi, i gesti delle mani, la prossemica…
Dalla lettura di quest’albo nasce uno spunto di “scrittura”.
“Se andassi alla fabbrica delle parole acquisterei…”
Non ho dato troppe indicazioni per non indirizzare troppo l’attività.
Ho dato solo un budget: ognuno poteva acquistare tre parole e poi motivare il perché aveva scelto di prendere proprio quelle tre parole.
A qualcuno l’idea di prendere solo tre parole stava stretta e ha investito un po’ di più.
È stato interessante osservare i criteri di scelta dei miei alunni e ascoltare le loro motivazioni.
Chi parla poco ha acquistato solo due parole: è stato molto difficile scegliere quali e anche arrivare a due, sembravano tantissime.
Chi parla molto ha dovuto fare una cernita e ha riflettuto a lungo.
Qualcuno ha comprato le parole che fatica a dire o a scrivere a causa dei suoni difficili.
Qualcun altro ha scelto la parola che provoca la sua paura e ogni volta gli si blocca in gola non permettendogli di urlare: “rattooooooo”.
Verità
Vi riporto un breve fatto accaduto in relazione a una parola a cui tengo molto: “verità”.
Per me è fondamentale trovare il coraggio di dirla, la capacità di affrontarla, il sapersi prendere la propria responsabilità riguardo le conseguenze delle proprie azioni.
È successo che… un bambino ha scritto sul foglio di un compagno il nome seguito dalla parola CACCA. Uno scherzo. Una sciocchezza, se vogliamo. Eppure questo fatto aveva toccato la sensibilità del bambino in questione e se l’autore non ammette la propria responsabilità e non si scusa… è un problema. Ho chiesto all’autore di rivelarsi e di dire la verità. Silenzio. Ho aspettato. Poi ho chiesto di trovare il coraggio per dire la verità. Non sarebbero seguite né punizioni né rimproveri. Il coraggio della confessione e l’assunzione di responsabilità sarebbe servito da lezione. Ho chiesto ai compagni di non commentare e rispettare l’accaduto perché può succedere di sbagliare o fare cose inopportune senza pensare alle conseguenze. Ho aspettato. Dopo un po’ di silenzio una bambina ha parlato e ammesso di esser stata lei a scrivere. Si è scusata con il compagno.
I compagni quando ha finito di parlare l’hanno guardata.
I loro occhi la guardavano intensamente.
Non era uno sguardo di giudizio.
Era uno sguardo pieno di comprensione e, nella comprensione, di perdono.
Un piccolo gesto sincero che ha più valore di mille parole.