Memorie di un ciliegio di Luigi Dal Cin
Non so voi come vi immaginiate il big bang, quel momento in cui da un punto completamente concentrato di forza gravitazionale è esploso ed ha avuto origine l’universo (secondo le teorie astrofisiche più accreditate).
Io me lo sono sempre figurato come un seme… come un qualcosa di microscopico in cui è racchiusa tutta la potenza dell’esistere.
Così l’ho sempre immaginato, il seme, ed ora me ne danno conferma queste Memorie di un ciliegio di Luigi Dal Cin con le illustrazioni di Angela Marchetti edito da Emme Edizioni. Le memorie di ciò che sarà in potenza un ciliegio ma che quando il libro si apre, voltata la pagina con titolo e frontespizio, è ancora un seme.
Un seme come tanti che cerca disperatamente di comprendere se lì sotto, dove non si respira, è da solo o ce ne sono altri di semi come lui che soffrono il peso della terra, la carenza di aria…
Ed eccoli lì, centinaia, forse migliaia di semi che a chissà quale distanza l’uno dall’altro iniziano a chiacchierare, a ricordare di quando erano a loro volta ancora solo una potenza dell’albero genitore, poi a ricordare i dolorosi morsi dell’uccello che attacca la dolce polpa… fino a quando si sono ritrovati a terra, pronti a germogliare anche loro….
Memorie di tempi passati, che della vita portano il ricordo ma non vedono futuro… Perché? Perché questi semi sono sotto una strada di asfalto e non è tanto il problema bucare l’asfalto, questo i germogli lo sanno fare per natura… quanto sopravvivere alle macchine che ti passano sopra una volta che il giovane virgulto è uscito a rivedere le stelle…
Ne segue una lunga discussione e una felice conclusione in cui il seme di ciliegio troverà la via giusta, quella della collettività, quella della speranza e della forza che il desiderio di vita solo può dare…Ma come sempre non siete certo qui perché io vi racconti né la trama né l’intreccio di questo libro e quindi non lo farò, siamo pronti però ad entrare dentro il testo.
Innanzitutto scusatemi ma non posso non notare che questo è uno di quei non frequentissimi casi in cui l’autore, Luigi Dal Cin, dice io, assume una focalizzazione interna, diventa seme e credo che questo abbia un senso primario e importante nell’interpretazione del testo. Cosa ci vuole dire il testo? Che possiamo più facilmente entrare nella dimensione del seme? Possiamo identificarci con questo protagonista in maniera più diretta? Sì questo tende a fare la focalizzazione interna, e tuttavia siamo anche in quella situazione in cui il livello di metafora scelto della narrazione è tale da metterci al sicuro. Quel seme potremmo essere noi lettori e tuttavia semi non siamo e quindi?
E quindi quanti livelli di lettura ci possono essere nel testo?
Diciamo almeno 2: quello letterale e quello metaforico. Ci sono sempre? No, non sempre, nei testi buoni diciamo quasi sempre sì, però, e qui siamo in un testo che ha tanto da darci oltre che da dirci.
E se il livello letterale proviamo per un momento a far finta che abbia un’unica dimensione, cosa diciamo invece di quello metaforico? Quante dimensioni può avere?
Aaaa, qui vi voglio, anzi qui vi vorrei con tutti i ragazzi e ragazze che incontreranno questo testo per sentire ognuno e ognuna cosa tirerebbe fuori…. L’autore il suo l’ha emerso, il seme, anche, e il lettore?
Questo mi pare sia un testo in qualche modo – scusate se vi sembro eccessiva ma la mia formazione ecclettica mi fa sbandare a volte…. – kantiano. Siamo esattamente lì dove l’atto incontra la potenza e viceversa. Dove ciò che è possibilità diventa, o non diventa, realtà.
Volete leggere tutto questo rispetto alla famiglia, rispetto all’identità, rispetto a qualsiasi cosa vi passi per la testa?
Certo, potete farlo, qui sta il potere non isotropo del testo, come diceva Barthes, ovvero il potere del testo, come il legno, di lasciare margini per l’inserzione del lettore, dell’interpretazione e della lettura del lettore; potete sondare la storia come e quanto volete, troverete sempre qualcosa di significante che dalla potenza diventa atto di lettura, atto di interpretazione.
Suggella il tutto il titolo che invece ci porta indietro mentre il testo e le sue potenze ci portano in avanti: le memorie. Perché le memorie? Non stiamo vivendo lo svelamento del seme? No, stiamo vivendo il flashback dello svelamento, la memoria e l’imperfetto narrativo non ci lascia scampo rispetto a questo. E se metto insieme l’imperfetto narrativo che porta la memoria, l’atto e la potenza che si esprimono come significanti e significato del testo, e la focalizzazione interna cosa ne viene fuori?
Memorie di un ciliegio