Batti il muro. Quando libri salvano la vita
Io ci credo davvero, ci credo fino in fondo e ogni giorno lavoro per convincere anche gli altri…: i libri salvano la vita.
Potrete pensare che l’iperbole sia la mia figura retorica preferita, a volte lo è, lo ammetto, trovo l’iperbole molto divertente oltre che efficace.
Ma vi assicuro che non è questo il caso.
I libri salvano la vita perché le narrazioni che fanno vivere vite diverse dalla nostra, specie quando la nostra non va proprio bene, ci danno respiro vitale.
E se pensate che sia un modo di dire chiedetelo a Caterina, la protagonista del bellissimo Batti il muro. Quando i libri salvano la vita, di Antonio Ferrara edito da Rizzoli, romanzo per altro che dà voce ad una storia vera.
Una storia di silenzi e malattia mentale e solitudine che portano la protagonista ed essere ogni pomeriggio dalla mamma rinchiusa nell’armadio… Anni e anni di armadio, con qualunque clima, con qualunque situazione, Caterina non si ribella nemmeno, quella sembra aver accettato essere la naturale conseguenza della sua relazione con la mamma. Una segregazione che si interrompe solo quando la mamma di Caterina viene ricoverata in ospedale psichiatrico e finalmente quando con un unico, semplice, incredibile “NO” Caterina un giorno decide di non entrare nell’armadio. La semplicità risolutiva di quel no lascia persino costernata Caterina, bastava così poco per liberarsi? Dopo tante fughe e tanto silenzio e tanto dolore un no può essere così semplicemente d’aiuto?
Ma di fatto la segregazione si interrompe anche quando entrando nell’armadio Caterina entra in mondi e vite altre con una pila ed un libro sottomano, chissà quante volte Caterina avrà riletto gli stessi libri pur di evadere dall’armadio e dalla sua mamma visto che nessuno le regala libri, nessuno glieli compra, solo la nonna materna (matta come la mamma ma in maniera più “divertente”) quando le manda dei soldi per il suo compleanno almeno 3 volte all’anno le permette di andarne ad acquistare uno nuovo.
I libri sono aria, vita, respiro ma soprattutto parola, per Caterina. Il gesto di battere il muro che dà il titolo al libro è il gesto che Caterina fa passando ogni giorno davanti al manicomio andando a scuola (per uno strano caso la casa di cura dei malati di mente si trova a due passi da casa di Caterina, sulla strada di scuola, o di casa, a seconda della direzione che si sceglie). I prigionieri dell’ospedale psichiatrico chiedono a Caterina di battere sul muro, un gesto che altro non significa che se stesso: il riconoscimento dell’esistenza del luogo a cui passa a fianco, e dunque dei suoi “abitanti”.
Ferrara è autore che sa quello che fa e questo resta senza dubbio uno dei suoi libri più belli, anzi una delle sue scritture più felici dove trovano forma letteraria, con la voce in prima persona che più gli è propria nel narrare, alcuni dei temi più cari alla sua poetica: quello della parola e del silenzio, innanzitutto. Parola e silenzio che insieme costruiscono storie, storie da ascoltare, da raccontare, a cui dar voce se nessuno gliel’ha data prima (come accade qui), da scrivere. Storie a cui permettere di salvarci la vita, senza retorica.
Caterina diventerà una libraia e nel suo percorso di crescita umana (e di lettrice) oltre ai libri alcuni personaggi che restano sullo sfondo la accompagneranno e accompagneranno il lettore. Il padre in primis, questa figura inafferrabile, inafferrabilmente infelice eppure presente e amata (mi sono chiesta un sacco di volte come questa coppia abbia potuto mettere al mondo due figlie); Sofia, la sorella più piccola di Caterina a cui chissà perché non era imposta la permanenza nell’armadio. Sofia vive di solitudine e silenzio, si aggrappa alla sorella ma fortunatamente non ne condivide la sorte. E poi c’è Pietro il fidanzato di Caterina, l’unico che, come i libri la sostiene e ama senza motivo e senza chiedere nulla in cambio. Pietro che l’accompagnerà, come i libri, per tutta la vita.
Ma il centro della narrazione resta Caterina con il suo armadio e i suoi libri, e i suoi matti a cui ogni giorno, almeno fino a quando non verranno chiusi gli ospedali psichiatrici, batte sul muro per ricordare loro, e a se stessa, di esistere.
Ecco perché abbiamo deciso di chiamare il lavoro sui libri che stiamo facendo con i ragazzi delle secondarie di I grado Battilmuro, ringraziando ancora Antonio Ferrara per averci concesso l’uso del titolo del suo libro: per ricordare ad ogni lettore che c’è, che esiste e che i libri sono qui per ricordarcelo, per farci vivere ogni vita possibile e, se necessario, anche salvarcela, la vita.