La città che sussurrò
Questo post è scritto da Chiara Costantini che cura la rubrica “Un libro in cartella” ogni due giovedì.
“La città che sussurrò”
Età: da 8 anni
Pagine: 32
Formato: 29×24,2cm
Anno: 2015
Editore: Giuntina
Autore: Jennifer Elvgren
Illustratore: Fabio Santomauro
Oggi vi racconterò la lettura dell’albo illustrato che ho messo in cartella… mercoledì scorso.
Esatto, il 27 gennaio. Giornata della Memoria.
Perché è importante ricordare?
Perché, se si dimentica il passato, si dimenticano anche gli errori del passato.
Invece la storia ci permette di far tesoro di quanto accaduto nel prima per capire quello che siamo adesso e quello che potremo essere dopo.
La storia, la “grande storia” come la “piccola storia”, è fatta di scelte… giuste o sbagliate. Poi ci sono le “non scelte” che forse sono le più pericolose.
Io credo però, che ogni cosa debba avvenire al momento opportuno.
Ecco perché durante i primi due anni di primaria ho volutamente deciso di non affrontare l’argomento.
A mio avviso sarebbe stata una forzatura per i bambini in primis e un mero assolvimento del “dovere” da parte mia.
In punta dei piedi
Mi sono accostata al tema quest’anno, in classe terza, per la prima volta. In punta dei piedi.
Freddo pungente, vento gelido… il setting di apprendimento naturale ha fatto la sua parte.
Ho proposto alla mia classe, assieme alla terza della sezione parallela, di ritrovarci in giardino.
Subito un bambino ha alzato la mano e ha detto “Io lo so perché siamo qua: perché oggi è il giorno della Memoria”
“Ah sì? – dico io – allora intanto facciamo dei giochi… poi mi dirai se c’entrano qualcosa”
Così iniziamo…
Si siedono a semicerchio sulle panchine di legno del cortile…
Per l’occasione ho portato giù la cassa di amplificazione e il microfono così l’effetto acustico sarà impeccabile e supplirà all’effetto “mascherina”.
Primo input:

“Mano destra sul naso… immaginate sia la manopola del volume dell’autoradio. E ora facciamo il sound check. Prova “volume”.
Mettete in centro: parlate a volume normale,
un quarto di giro a sinistra: sperimentate un tono di voce alto,
ancora un quarto di giro: volume molto alto.
Ora riportate la manopola in centro, al punto di partenza
e girate di un quarto di giro a destra: provate a parlare con un tono di voce basso.
Un altro quarto di giro e sussurrate…
ancora un quarto e… silenzio!
Silenzio
Solo silenzio, vento e freddo.
Propongo allora un altro gioco di “sussurri”…
il classico “Telefono senza fili”.
Ovviamente la frase iniziale arriva al capolinea completamente mutata, ma non è questo il punto…
Continuiamo…
Altro input. Altro gioco. “Segui il sussurro della guida e raggiungi per primo l’obiettivo”: quattro squadre, quattro volontari bendati, un unico obiettivo. Ogni squadra avrà cura di sussurrare chiare ed efficaci indicazioni al proprio compagno prescelto senza farsi sentire dagli avversari. Vince chi per primo raggiunge l’obiettivo.

Infine…
“Scova Robin Hood”: si sa, Robin è “il fuorilegge” per definizione, ruba ai ricchi per sfamare i poveri. Tutta la foresta di Sherwood conosce la vera identità di Robin tranne lo sceriffo di Nottingham che gli dà la caccia.
Quindi si sceglie tra i bambini chi personificherà lo sceriffo. Poi si attribuirà a ciascun bambino un ruolo (frate, contadino, povero…) e si svelerà chi è Robin Hood. Scopo del gioco mantenere il segreto e quindi non far scoprire la vera identità di Robin. Lo sceriffo potrà studiare tutti gli abitanti e avrà a disposizione tre domande per incastrare il fuorilegge “Sei tu Robin Hood? Svela la tua identità”. Se lo trova dovrà rincorrerlo.

Dopo questi semplici giochi, che hanno contribuito a scaldare l’ambiente ed entrare in sintonia, ho chiesto:
“Secondo voi cosa hanno in comune i quattro giochi che abbiamo fatto?”
Rialza la mano il primo che era intervenuto e risponde nuovamente “Abbiamo fatto questi giochi perché oggi è il giorno della memoria”
Rispondo “D’accordo potrò anche aver proposto questa attività perché oggi è il giorno della memoria, ma, la mia domanda è un’altra… e… la tua risposta è sbagliata…”
“Ah… allora ci penso meglio”
Poi una bambina ha detto…
“Abbiamo quasi sempre parlato sottovoce. O almeno avremmo dovuto…”
E quando si parla sottovoce?
“Quando non ci si vuole far sentire”
“Quando dici un segreto a qualcuno”
“Quando non puoi parlare”
“Quando non devi far rumore”
Un segreto
Un segreto per difendere, un segreto per non prendere posizione… la soglia spesso non è poi così netta… ed ecco che uno scherzo può diventare un piccolo atto di bullismo, dire bugie è più facile che dire la verità, subire le conseguenze delle proprie azioni, compromettersi è scomodo. Ecco perché a volte è più semplice schierarsi dalla parte dei forti che da quella dei deboli.
Qualcuno forse già sa cosa è un campo di concentramento, chi sono i nazisti e perché odiavano gli ebrei. Ma io credo ci sia una differenza importante tra sapere e capire.
Così chiedo:
“Vi è mai capitato di tacere per mantenere un segreto o per evitare dei guai a qualcuno?”
Ed ecco che una ad una cominciano a sollevare le mani e a raccontare la propria esperienza. Molti hanno raccontato di piccoli segreti ma qualcuno ha ammesso qualche silenzio più importante magari per nascondere qualcosa di scomodo come un malanno involontario o addirittura qualche silenzio per evitare la reazione del compagno più forte.
Così ho preso il libro, ho acceso il microfono e ho sussurrato questa storia delicata ma potente…

“La città che sussurrò”

“Ci sono dei nuovi amici in cantina, Anett” mi disse la mamma quando mi svegliai. “È ora di portargli giù la colazione”.
Mi fermai in cima alle scale: la cantina mi faceva paura a causa del buio, ma le voci che sussurravano mi dettero coraggio.
Arrivata in fondo, entrai nella stanza segreta dove nascondevamo degli ebrei danesi dai nazisti. Una donna e suo figlio sedevano sopra una branda.”

Anett ogni giorno provvede a scendere in cantina dai nuovi amici e porta loro ciò di cui hanno bisogno: pane, libri, uova… Così si recherà dal fornaio, in biblioteca, alla fattoria. Tutti sono generosi e raccomandano ad Anett di essere prudente. I soldati sono in agguato per le strade della città.
L’obiettivo è nascondere gli ebrei per un paio di giorni, finché non raggiungeranno il porto dove una barca li porterà in Svezia. Nel frattempo i nazisti si recano a casa di Anett perché qualcuno ha detto loro che nascondono degli ebrei. Fortunatamente si limitano a minacciare, ma non entrano in casa.
Infine anche se non c’è la luna in cielo che possa guidare la mamma e il bambino ebrei al porto, Anett propone di guidarli di casa in casa, sussurrando.

Commenti a caldo
“Cos’è una branda?”
“Ma i nazisti sarebbero i soldati cattivi?”
“Sono quelli che hanno quel simbolo strano che assomiglia a una croce?”
“Io l’ho visto nei disegni sulle giacche dei soldati”
“Maestra, sai cosa ho pensato mentre leggevi?!? Ma chi può aver svelato il segreto che la famiglia di Anett nascondeva degli ebrei e perché… Hanno fatto davvero una cosa brutta”
“Io ieri ho visto un documentario sui campi di concentramento”
“A me è piaciuto che tutti hanno dato qualcosa, il fornaio il pane, la bibliotecaria i libri, il contadino le uova…”
“Se mi fossi trovata lì, anch’io avrei voluto aiutarli in qualche modo e dare loro qualcosa”
“A me hanno colpito i soldati cattivi che cercavano ingiustamente queste persone”
“È stato bello che tutta la città si sia messa insieme per aiutare questa famiglia”
“Posso dire cosa ho pensato io mentre leggevi? …ho pensato che è gentile aiutarsi e che è cattivo stare contro delle persone diverse”
“A me ha colpito la copertina. Sulla O se non sbaglio è disegnato un uccellino al posto dell’accento”
“A me è piaciuta molto questa storia e anche i disegni”
“Mi facevano un po’ paura i soldati”

Mi hanno colpito le riflessioni schiette e mai scontate dei miei alunni.
È stato bello. Pur ricordando un momento della storia molto brutto durante il quale furono compiute indicibili atrocità è stato per me significativo condividere nel piccolo, aprirsi all’altro, riflettere un po’, interrogarsi, mettersi in discussione. Non si possono cambiare i fatti del passato, ma si può collaborare perché certi atteggiamenti non vengano messi in atto, nemmeno nel piccolo, nel presente e nel futuro.
