L’omino e Dio

Si dice, la Torah dice (Genesi / Bereshit 1: 26-27), che l’uomo sia fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

L’omino e Dio di quel genio incredibile che è Kitty Crowther, edito da Topipittori, è un libro a figure che sembra entrare in quel versetto biblico della creazione dell’uomo, e non solo domandarsi quale forma abbia Dio ma anche a quale Dio pensiamo quando pensiamo a un Dio.

Questo è un libro a cui si potrebbe dedicare un intero corso sia per i testi che per le immagini ma proviamo almeno a dare qualche piccolo spunto.

L’incontro tra Omino e Dio avviene una mattina per caso mentre Omino, che scopriremo poi chiamarsi Teo, cioè dio, cammina nel bosco vicino casa. Dio ha una forma indefinita, in qualche modo antropomorfa ma non umana (inutile negare che assomiglia moltissimo all’orco di Dentro me) che emana una fluorescenza arancione che poi pervade tutto ciò a cui si avvicina.

L’incipit è strepitoso e già qui si legge non solo tutto il valore ma anche tutta l’ironia di questo approccio religioso aperto e non dogmatico a cui la Crowther dà voce (più che rari sono i libri che tentano e riescano un approccio alla religione e all’esistenza di Dio):

Una mattina, Omino fa la sua passeggiata.

Ai bordi del sentiero, incontra una cosa.

“Non aver paura”, dice la cosa.

Si fa presto a dire…, pensa l’omino

“Chi sei?” domanda educatamente.

“Sono Dio”

“Sei Dio? Il DIO?

Non ti immaginavo assolutamente così.”

“Primo, non sono il Dio. Sono un dio.

Questa la devo ricordare, pensa l’omino.

Poi chiede:

“E siete molti?”

“Almeno quanti le stelle del cielo, forse qualcosina in più

Prima osservazione: prestiamo attenzione alle maiuscole, quando Omino diventa omino e dio diventa Dio o addirittura DIO.

Seconda osservazione: l’ironia di Omino lascia più che trasparire scetticismo misto a curiosità, quel “questa la devo ricordare” suona ironica e al tempo stesso profondamente sincera.

Ma andiamo avanti e giriamo pagina per vedere come Dio accontenta l’omino prendendo la forma che si aspettava, anziano, con la barbona e la tunica celeste, ma può anche diventare un coniglio, un cowboy, uno sceriffo, uno scimmione, fino a diventare uguale a Omino.

E qui arriva la seconda punta di ironia che sembra quasi un motto di spirito del narratore: quando Dio diventa Omino, ma molto più grande l’omino sorride e dice che gli sembra suo padre “Dio sorride. Ha veramente avuto paura di aver davvero spaventato l’omino“. Come dire che il padre è ciò che può spaventare Teo di più che l’incontro con un dio? Beh direi che ci sono i margini per farci entrare tutto Freud se volete.

Ma Omino e Dio fanno amicizia e Omino invita il/un Dio a pranzo per fargli provare la sua frittata di cipolle, che Dio non sa cosa sia, se la gusta e si offre persino di lavare i piatti! E’ proprio un dio questo ospite!

Dopo pranzo bagno nello stagno e arrampicata sull’albero per scoprire con le tavole meravigliose della Crowther, che Dio NON sa nuotare, lui cammina sull’acqua (ovvio, l’omino dice “Ne avevo sentito parlare, ma non l’avevo mai visto fare!”); e NON sa arrampicarsi, lui vola.

E mentre l’omino pensa che vorrebbe saper volare Dio si domanderà, nell’ultima tavola del libro, se mai riuscirà ad arrampicarsi su un albero.

La giornata di omino finisce, lui ritorna a casa a lavare i piatti che non aveva voluto far lavare al suo ospite (e Omino adesso è pervaso ed emana la stessa fluorescenza arancione di Dio) e Dio torna a casa da sua moglie. Sua moglie????

Ebbene sì, Dio, almeno questo Dio, ha una moglie, una donna-dio mentre lui è un uomo-dio, uno dei tanti, l’abbiamo sentito, una donna-Dio che fa anche lei delle ottime frittate.

La dolcezza di questo ritorno a casa dalla moglie a cui prende la mano e del dialogo tra i due coniugi amanti sulla reciproca giornata è dolcissima, umana sopra ogni cosa.

Siamo in conclusione, Dio resta pensieroso , l’incontro con Teo, un dio uomo, l’ha turbato o forse non turbato ma gli ha aperto nuove possibilità: ora può aspirare ad imparare qualcosa di nuovo come arrampicarsi sugli alberi. Dio sembra ricercare la “pesantezza” fisica dell’essere umano, quella che gli permetta di non galleggiare, di non volare, di poter gestire il proprio peso fisico e metafisico direi.

Assistiamo, Kitty Crowther ci fa assistere incredibilmente, ad un vero e proprio ribaltamento di prospettiva in cui l’uomo recupera quella parte di divinità che gli è propria per il solo fatto di esser fatto ad immagine e somiglianza di Dio, e Dio si ridimensiona facendo i conti con ciò che non sa fare rispetto all’uomo.

E se avete dubbi che questo sia uno, dei tanti, messaggi silenziosi che questo libro lascia andare, basteranno i risguardi a convincervi: in quello di apertura Dio è a sinistra e l’omino (con una pianta dietro che sembra proprio formare la silhouette di un paio d’ali ) a destra

Nel risguardo finale l’omino è a destra e Dio a sinistra, in entrambi i casi Dio ha le braccia conserte e guarda l’omino mentre Omino ha le braccia conserte ma guarda le piante… Traetene un po’ le conclusioni che preferite. Questo è un testo l’assenza di isotropia, come dice Roland Barthes, ci permette di entrare in ogni soglia e margine e crepa lasciate da testo e immagine ed accomodarci, o scomodarci, nelle esegesi ed interpretazioni più varie!

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