Quando ai veneziani crebbe la coda

Questo post è scritto da Chiara Costantini che cura la rubrica “Un libro in cartella” ogni due giovedì.

Quando ai veneziani crebbe la coda

Età: dai 9 anni
Pagine: 72
Formato: 13 x 20,5
Anno: 1989
Editore: Mondadori
Autore: Andrea Molesini
Illustratore: Renata Meregaglia

Oggi in cartella un piccolo libro.

Copertina cartonata, flessibile. Non è un libro a figure. I disegni ci sono, ma sono in minoranza rispetto alle parole. È un libro di narrativa per bambini.

Sentii nominare questo libro quando entrai di ruolo come insegnante alla scuola primaria, qualche anno fa. Una classe terza stava lavorando proprio su questo testo e aveva proposto alle altre classi l’ascolto di una lettura espressiva.

Ricordo due cose dell’incontro con questo libro.

La prima, mi colpì e mi incuriosì il titolo “Quando ai veneziano crebbe la coda” e mi ripromisi di leggerlo.
La seconda, il lessico, mi sembrava piuttosto ambizioso per dei bambini di otto anni.

La competenza chiave che più mi appartiene è la capacità di imparare ad imparare. Credo fermamente nel life_long learning, un apprendimento continuo che dura tutta la vita e va costantemente alimentato. Non si finisce mai di imparare e di crescere a livello personale e professionale. Nel mio caso spesso i due ruoli si fondono. Non posso sapere tutto, ma posso utilizzare gli strumenti a mia disposizione per ampliare e approfondire le mie conoscenze e posso insegnare ai bambini ad usare questi stessi strumenti.

Non sono mai stata una fanatica del nozionismo, un po’ per scelta, un po’ per le mie (oggettivamente ridotte) capacità mnemoniche e cognitive. Mi riconosco più simile alla Dory, la pesciolina smemorata del film di animazione Nemo, che alla Matilde di Roald Dahl. Però, come una spugna, fin dall’inizio, mi sono lasciata coinvolgere dal mio nuovo incarico, disponibile a mettermi in gioco e in discussione con la voglia di apprendere e una gran voglia di leggere.

L’anno scorso…

…ho accompagnato gli alunni della mia allora classe seconda, nella biblioteca scolastica. Ci siamo dati un tempo per esplorare e scegliere i libri e anch’io mi sono immersa tra gli scaffali. Sfioravo con l’indice il dorso dei libri e leggevo i titoli quando per puro caso lessi “Quando ai veneziani crebbe la coda”, non esitai un secondo di più. Lo presi in prestito. Erano i primi di marzo, appena prima del lock-down e fu per me una bella lettura e una bella scoperta. Decisi così che l’avrei letto l’anno seguente, a gennaio.

Un po’ di gioco in Campo del Ghetto Novo… prima della lettura
Perché? Principalmente per due ragioni.

Innanzitutto non è un libro facile. Per questo motivo ho preferito collocare la lettura tra il primo e il secondo quadrimestre della classe terza, quando l’anno scolastico è ben avviato e si può proporre una lettura un po’ più impegnativa. Infatti la storia proposta, tra intrecci, nomi e lessico non è, a mio avviso, accessibile a tutti. Tra i miei alunni c’è qualche lettore forte che avrebbe potuto benissimo leggere questo libro in autonomia, ma per molti altri la lettura individuale sarebbe risultata difficoltosa. La lettura ad alta voce da parte mia, suddivisa in tre settimane, invece, ha permesso di comprendere intonazioni e dialoghi e di condividere dubbi e perplessità. Ogni volta quando riprendevamo la lettura qualcuno faceva una sintesi di quanto accaduto, per poi proseguire. Questo tipo di lettura è risultato indispensabile per mediare contenuti e lessico.

In secondo luogo i protagonisti di questa storia sono due bambini di diversa religione (uno ebreo e l’altro cristiano). Quale miglior periodo dell’anno per proporre una lettura che seppur leggera e fantastica dia la possibilità di riflettere sulla diversità e sul rispetto a più ampio spettro?!? I meccanismi di odio o di potere, trattati in chiave metaforica (Grifani verso Schulim), altro non sono che i meccanismi troppo spesso messi in atto nel corso della storia nei confronti di razze, etnie, religioni ritenute inferiori. L’obiettivo è trovare il capro espiatorio. Non tanto risolvere il problema, quanto attribuire a qualcuno la colpa della catastrofe.

Porticato in Campo del Ghetto Novo

Questo libro inizia così…

Una notte, a Venezia, molto tempo fa, incontrai la Befana. Calzava zolfanelle del colore della luna e portava una sottoveste bianca che le andava un po’ stretta. “Che ci fai in giro così conciata?” le chiesi. “Sono venuta a dirti quello che mi capitò da queste parti qualche secolo fa, quando c’erano ancora i Dogi, le scope e le leggende. Anche se assomiglia alle favole di una volta, questa è una storia vera. Promettimi di trascriverla per tutti i bambini della mia età, cioè tra i sette e i millesettantasette anni”. Ho mantenuto la promessa.

La premessa è speciale.

Introduce già tutto. Dopo averla letta ho assistito all’effetto immediato. Bambini magicamente silenziosi, pronti ad ascoltare. Anche i dati numerici del racconto hanno il loro fascino. Fin dall’inizio i bambini sorridono per l’ipotetica età della Befana e per questo numero alto che solo al nominarlo dà soddisfazione al palato, diciotto lettere che ruotano in bocca per formare un numero a quattro cifre.

C’era una volta…

Il classico e immancabile “C’era una volta…” introduce l’ambiente, i personaggi e l’inizio della vicenda. La storia si svolge a Venezia. I personaggi principali sono Samuele Luzzati, mercante di zolfanelle, e Bartolomeo Foscarini, mercante di scope. I due amici avevano due figli di nove anni: Davide e Giovanni, i due protagonisti, i quali avevano due angeli custodi: Pissi e Pussu.
Un ruolo speciale è rivestito dalla luna dall’irresistibile fascino e ovviamente dalla Befana.
Tutto succede a causa di un guasto alla scopa per cui la vecchina, a sera tarda, cade nel giardino di Bartolomeo. I due mercanti stavano bevendo un buon bicchiere quando si ritrovano increduli a conversare e brindare con la Befana. Questa poi riparte un po’ brilla per assolvere al suo compito e consegnare i balocchi ai bambini, ma qualcosa fila storto e per colpa di tre dita di polvere magica accade un gran guaio: a tutti i veneziani crebbe la coda, eccezione fatta per Davide e Giovanni. Code d’ogni specie: puzzola, porcello, castoro, caimano… Inizialmente da bravi mercanti i veneziani non si perdono d’animo e la Repubblica Serenissima sembra trarne vantaggio. Ma dopo gli entusiasmi iniziali le cose volsero al peggio. Presto il Doge e il Consiglio dei Dieci si trovarono a fare i conti con la povertà e la fame. Ecco allora il tentativo di risolvere la faccenda incolpando un innocente, il mercante di bottoni Schulim. Il terribile Grifani costituì delle false prove. Per fortuna alla fine fu ripagato con la stessa moneta e tutto si concluse nel migliore dei modi così come era iniziato.

Una profonda storia di amicizia, di fantasia e di realtà.

Di seguito alcune citazioni significative dal testo e gli immancabili commenti a caldo.

Una città che ha nome Venezia e ha diecimila comignoli, dove vanno a impigliarsi le nuvole che fanno piovere così tanto da mutare le strade in canali

Gli uomini, le donne, i bambini, i cani, i gatti e i canarini di quella città sono tutti dei gran chiacchieroni. Non parlano quando hanno qualcosa da dire, ma di continuo, perché in fondo la chiacchiera li fa sentire un po’ meno soli.

Le cose che abitano a Venezia, quelle che stanno ferme e quelle che camminano, vivono tutte gomito a gomito: sono fitti i comignoli e i canali, i gatti e le finestre, le comari e i ciabattini…

A Venezia le cose non vanno mai proprio dritte. A nessuno. E i cappelli volano via dalle teste quando girano gli angoli, che non sono mai proprio retti.

A Venezia le distanze sono imprecise come i cappelli, che quasi sempre sembrano fatti per la testa di un altro.

Oh luna luna mirtillo
luna che canti, luna che ridi
oh luna chiacchiera
luna che vegli
giri le strade
luna che cerchi
luna che gridi
luna di panna
lampada accesa
luna di smalto.
Oh luna luna mirtillo
luna chiacchiera, luna che ridi.

Commenti a caldo…

“Maestra mi è piaciuto tanto andare a leggere in campo”
“A me è piaciuto che a Venezia si conta tutto, ma che alla fine le cose sono così tante che poi si perde un po’ il conto, è vero che è così… anche che le strade non sono mai proprio dritte”
“Chiara, Tobia e Daniele sono come Pissi e Pussu… fanno da angeli custodi a Mattia e Giammaria e li tengono d’occhio!”
“Quante parole difficili… di certe anche se mi dici il significato poi me lo dimentico”

Chiedo…

“Qual è stata la vostra scena preferita del racconto?”

“La scena che in assoluto mi è piaciuta di più è quando gli crescono le code…”
“Anche a me”
“E a me”
“Ma Chiara sai che dicevano che c’era l’odore di pepe nero? Io non l’ho mai sentito…”
[Abbiamo poi provveduto a colmare questa lacuna di esperienza olfattiva]

E ancora…

“A me è piaciuto quando Pussu e la Befana vogliono la luna…”
“È vero, anche a me faceva ridere che l’angelo custode era geloso e gli chiede: «Ma sei geloooso???»”
“Ma quindi la luna è un maschio o una femmina?!?”
“A me è piaciuto quando cadono i comignoli in testa ai cattivi… mi sono proprio immaginato la scena, come ce l’avessi davanti agli occhi”
“A me ha fatto ridere quando la Befana si è arrabbiata con Pussu che l’ha lasciata incastrata nel comignolo per tutto quel tempo”
“Io ho trovato divertente la scena in cui Isidoro fa lo sgambetto al perfido Grifani”
“A me è piaciuta tanto la poesia che Pussu dedica alla luna”
[commento di un maschio, un “vero maschio”, duro all’apparenza, ma dal cuore sensibile]
“Anche a me… è dolcissima”
“La cosa che in assoluto mi è piaciuta di più sono state le code del Consiglio dei Dieci…”
“A me la scena in cui a tutti prude il sedere”
[Arrossisce un po’]

Interrompo:

 “Vi sembra strano che un libro possa parlare alludendo a certe parti del corpo…”
[Ridono sommessi] “Eh sì!” aggiungono.
“Eppure” continuo io “il bello dei libri è che possono parlare di tutto, anche di cose scomode o di quello che non si direbbe mai…”
“E io che pensavo che i libri potessero solo contenere informazioni o dire cose giuste”.

Riprendiamo

“Mi ha colpito la descrizione della magia finale della Befana… «un abracadabra piatto, rosa e al profumo di caciotta…», Mi sono sempre immaginato la magia accompagnata da brillantini luminosi, certo non dall’odore di un formaggio che quasi non ha odore!”
“A me ha colpito la punizione del Grifani, dato che era stato cattivo…”
“Sai una cosa, Chiara? Quando ho visto questo libro così sottile all’inizio ero convinta l’avremo finito in pochi giorni… invece è durato tanto… ed è stato bello!”

E infine…

…racconto ai bambini una conversazione sentita il mattino stesso per strada tra una bambina e il suo papà che la accompagnava a scuola: “Siamo quasi giusti!”. Questa frase mi ha fatto sorridere… una frase perfetta per Venezia, dove tutto non è mai troppo «giusto» o tutto dritto, c’è sempre quel «quasi». Infatti a Venezia le strade, quando le percorri, a volte sembrano brevi, altre sembra di non arrivare mai…
“…è proprio vero Chiara, a me capita spesso di pensare a questa cosa delle strade e della lunghezza e del tempo che ci impieghi a percorrerle”
“Per forza! A volte le fai di corsa e fai presto, altre se cammini con gli amici chiacchieri e vai più lento o magari incontri qualcuno e ti fermi a parlare”
Insomma malgrado siano passati secoli, il tutto, è una conferma della premessa di questo libro!

Mi piace questo libro perché…

  • Nell’età in cui i bambini cominciano a chiedersi se la Befana esiste o no, combattuti tra fantasia e realtà, l’anno in cui a scuola si trattano da programma miti e leggende, ecco una storia che non entra nel merito della questione, anzi. Sospensione dell’incredulità. Ha poca importanza, ai fini della storia, che l’esistenza della Befana sia reale o meno… ti ci catapulta dentro e basta. Una bambina dichiaratamente agnostica riguardo il tema si è comunque piacevolmente lasciata coinvolgere. Se un libro riesce a fare ciò… io   credo sia un gran bel libro.
  • La descrizione di Venezia. Chi ama Venezia si ritrova in tutto e per tutto nella descrizione che il libro ne fa. Dal vento che fa volare i cappelli, a come si vede la luna, gli angoli mai retti, le cose che non vanno mai proprio dritte.
  • Ci ha introdotto al testo narrativo fantastico. E quale miglior occasione per affrontare un testo se non quella dell’immersione letteraria?!?
  • I luoghi… leggere una storia proprio nel posto in cui si è svolta le conferisce un fascino ancora maggiore. Sembra davvero di essere catapultati dentro al libro
A Venezia nulla è mai proprio “dritto”

E per concludere…

Ciascun bambino ha immaginato quale coda gli sarebbe cresciuta. Abbiamo annusato il pepe nero perché non tutti conoscevano questo odore forte che pizzica il naso. Abbiamo giocato con le code.

Quando ai veneziani crebbe la coda

Ho scoperto che nella mia classe è pieno di furbe volpi e vanitosi pavoni.

Quando ai veneziani crebbe la coda
Quando ai veneziani crebbe la coda

Infine un bambino ha alzato la mano e ha chiesto:

“E a te Chiara che coda sarebbe cresciuta se ti fossi trovata a Venezia un secolo fa o poco più?”
“Una coda di tigre… ovviamente!”

L’imbrunire sui tetti di Venezia – Quando ai veneziani crebbe la coda
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