Un pinguino a Trieste

Ogni storia, ogni romanzo, porta con sé qualcosa del suo autore, o autrice, qualcosa del suo “luogo” di nascita (e date pure a “luogo” il senso reale e metaforico che volete), qualcosa del “tempo” che narra o che ha condotto la narrazione, persino della durata della gestazione e scrittura.

A volte, forse la maggior parte delle volte, questi “segni” sono meno evidenti, altre volte invece si mostrano per ciò che diventano: elementi necessari ed intrinseci, alla narrazione.

Questo secondo caso mi pare si dia, insieme a molto altro che proverò qui solo ad accennare, in Un pinguino a Trieste di Chiara Carminati edito da Bompiani.

Siamo tra Trieste e l’Africa, per buona parte della narrazione ci troviamo con Nicolò (ragazzo di 15 anni) a bordo dell’Europa, nave da crociera che porta a Cape Town, in quel tempo poco noto che transita dalla fine della Seconda guerra mondiale all’Italia come la conosciamo ora, con Trieste dentro i propri confini.

Questa è una storia individuale alla ricerca di un padre che dalla guerra non è più tornato. Si mescolano dati storici e dati di finzione in cui rientrano (e li nomineró in ordine sparso perchè non ho alcuna intenzione di svelarvi nulla dell’intreccio di questo romanzo in cui c’è buona parte del suo essere, com’è, bellissimo e perfetto): il naufragio della Nova Scotja abbattuta da siluri tedeschi provocando la morte di più di 1000 persone tra inglesi e prigionieri di guerra italiani; un pinguino africano che approda a Trieste per vivere coccolato da tutti per il resto della sua vita; un ragazzo che soffre il mal di mare ma si imbarca lo stesso alla ricerca del padre, una ragazza con i capelli che sembrano di cannella e gli occhiali grandi indossati per bellezza; un pinguino di legno che è correlativo oggettivo del padre scomparso e per metonimia di tutto ciò che venga caricato di affettività.

L’intreccio, sì, sembra farla da padrone della narrazione accompagnato e dipanato da alcune piccole linee del tempo e dalle inserzioni di alcuni articoli di giornale che al tempo stesso aiutano e confondono il lettore nel cercare un collegamento tra storia e Storia. Dietro e dentro Un pinguino a Trieste si sente, come la stessa autrice lascia intendere nei ringraziamenti di chiusura, un lavoro preciso e scrupoloso di ricerca storica, di risalita alle fonti per potersene poi distaccare. Ed in questo, e non solo, io ho sentito una parentela tra questo romanzo e l’altro meraviglioso della Carminati: Fuori fuoco. Anche il montaggio degli articoli di giornale a scandire la narrazione ricorda l’uso delle foto, tutte grigie, di Fuori fuoco. La Storia fa da guida e al tempo stesso da limite necessario all’invenzione creativa anche se mi è parso che in Un pinguino a Trieste il gioco di relazione tra Storia e storia narrata sia in qualche modo quasi capovolto rispetto a quello messo in scena in un Fuori fuoco.

Ma la dolcezza è levità e piacevolezza narrativa di Un pinguino a Trieste è probabilmente tutta dentro l’uso della lingua che è la cifra più propria della scrittura di Chiara Carminati. Una lingua che appena può dà forma alle parole, dà senso al suono ed alla visione interiore che produce. Gioca con la sinestesia ed ogni figura retorica utile a limare la scrittura fino a renderla lieve, pronta a scivolare via naturalmente come acqua di mare che però lascia il sale sulla pelle. Leggendo il romanzo, infatti, non vi accorgerete subito, forse, di quanto alcune immagini permangano come impresse nella retina. Sono invece impresse nel cervello grazie al loro suono che, quello si, ha prodotto l’immagine che continuiamo a vedere e sentire come, appunto, sale sulla pelle.

Se è vero che dall’incipit è dalla chiusa si ha un polso abbastanza affidabile dell’intera narrazione, allora Un pinguino a Trieste si svela sin dalla prima riga che apre ad una delle tante letture possibili del testo e che comprenderemo davvero solo nell’ultima riga… Leggere per cedere!

Caspita, siamo arrivati alla fine di questo post, che non saprei se definire recensione, e nulla vi ho detto in pratica della storia di questo romanzo. Avete ragione, potete legittimamente lamentarvi in direzione del mal servizio.

Tuttavia nulla vi dirò fino alla fine perchè ogni svelamento vi rovinerebbe la sorpresa della scoperta dell’intreccio, della lingua, della persona di Nicolò, di suo padre, di Susanna e di quei personaggi (quello di Irma prima di tutti) e mondi di riferimento che si addensano attorno alla storia del pinguino… quello di piume e ossa e quello di legno.

Mi auguro e vi auguro che, nonostante il disservizio offerto ostinatamente oggi da Teste fiorite, la curiosità vi porti il più rapidamente possibile a cercare e leggere Un pinguino a Trieste.

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