Nome di battaglia Nero
Da dove iniziare a raccontarvi la storia di questo libro, il senso e la matericità di questo libro che l’autrice cura da anni fino ad averlo limato alla perfezione così come ci appare oggi?
Inizierò banalmente col dire che per questo 25 aprile e per la memoria dei ragazzi morti nella Resistenza non ci poteva essere narrazione migliore di questa: Nome di battaglia Nero di Sonia MariaLuce Possentini edito da Rrose Selavy con l’introduzione di Filippi.
Ho avuto la straordinaria fortuna di conoscere Nero prima dalle parole di Sonia, poi dalla sua scrittura ed alcune delle sue varie riscritture, poi dalle prime illustrazioni, fino a ritrovarmi in mano questo lavoro di lima che ha passato tanti gradi di rielaborazione e maturazione narrativa, figurativa ed emotiva da meritarsi quantomeno la considerazione che chi pensa che non esista una filologia dei testi di questa natura non sa di cosa sta parlando.
Tranquilli, non lavoreremo su questo, oggi.
Oggi è il 25 aprile e la voce ce l’hanno loro, i partigiani, quei pochi rimasti e quei tanti che ne tengono viva la memoria. La memoria che fa i conti con la storia, la Storia tutta e la storia personale, individuale, persino la storia di un paesaggio, di luoghi testimoni. Questa di Nero è una di queste storie, simile a tante altre di ragazzi condannati a morte perché resistenti, e al tempo stesso unica perché unica è ogni vita, ogni amore, ogni visione.

Nero ha vent’anni e decide di salire in montagna, diventa un ribelle della montagna e questo è anche il nome con cui Sonia chiama la tavola seguente.

I ribelli della montagna, coloro che si ribellano per tutti gli altri e che lottano per tutti. A vent’anni questa forza di vedere oltre di sé, di avere una visione del futuro quei ragazzi ce l’avevano ed io voglio pensare che ce l’abbiano ancora oggi. “A vent’anni è ancora intero”, almeno così doveva sembrare loro per salire in montagna, vivere nei boschi, resistere alle persecuzioni, alle torture e poi andare a morire fucilati senza nemmeno più gli occhi per vedere.

La storia di Nero le illustrazioni la raccontano come una soggettiva. Noi vediamo, stagione dopo stagione, angolo dopo angolo, quello che Nero vide, le illustrazioni che prendono una prospettiva a focalizzazione interna sono rarissimi e questo è uno dei tanti punti notevoli del lavoro di Sonia che nel tempo ha sottratto le persone, l’elemento umano, per lasciar parlare il paesaggio. Un paesaggio testimone, che è sempre lo stesso che vediamo noi oggi e che videro i ribelli della montagna allora. Chissà cosa racconterebbero le piante se potessero parlare…
Sonia sale in montagna a cercare Nero, suo parente di sangue mai conosciuto perché morto fucilato da fascisti. E noi siamo fortunati a poterla seguire in questa risalita che è una discesa nella memoria personale e collettiva ed anche una discesa nel nero del nero che però è stato preludio alla rinascita o almeno a ciò che allora sembrò tale.
La scrittura di Sonia prende corpo come le tavole, si tocca, riempie la bocca se la si legge ad alta voce. E’ cruda e netta, non direi espressionistica ma materica sì. Se penso a come Sonia lavora i colori posso pensare che con le parole abbia fatto lo stesso, strato dopo strato, sfumatura dopo sfumatura, è la stessa lingua, la stessa scrittura di La prima cosa fu l’odore del ferro. Anche lì la storia tramite le parole prendeva forma e odore, letteralmente, diventano una scrittura quasi sinestetica.
Nella narrazione della storia di Nero li vero e l’invenzione si mescolano e non riusciamo a scinderli e francamente non credo nemmeno ce ne sia alcun bisogno. Se Nero quelle lettere, così come sono nel testo, non le ha mai mandate, o non tutte, avrebbe potuto farlo. Questa è la letteratura, la possibilità di dare voce alla realtà riscrivendola, certo questa riscrittura ha varie forme, dal più fantastico al più realistico e qui siamo senz’altro nel secondo campo, e tuttavia diventa realtà essa stessa per il fatto di esser diventata scrittura.
A Nero, a lui personalmente, alla sua vita che ha vissuto per così poco, all’amore che ha solo intuito (e qui Fenoglio torna come una cannonata nella memoria), a tutti i Nero che i fascisti e nazisti hanno portato via, ai loro amori spesso nemmeno incontrati, oggi e ogni giorno va non i ricordo ma il ringraziamento per esser stati i ribelli della montagna a cui ancora dobbiamo la nostra libertà.

Postilla semi filologica a cui non so rinunciare:
come accennato all’inizio questo lavoro, come spesso accade agli autori, è frutto di tanti e successivi rimaneggiamenti e riscritture. In questo caso si è trattato anche di una riscrittura del visivo che aveva originariamente al centro le persone, l’elemento umano, l’esplicitazione di ciò che accadeva mentre poi Sonia ha valutato di limitare fino a sottrarre tutto ciò, che di fatto resta solo nella copertina e nella valigia che precede la dedica e poi il frontespizio. Scompare l’elemento umano perché, almeno io l’ho interpretata così, l’elemento umano diventiamo noi lettori che guardiamo con i nostri occhi lo stesso paesaggio che guardò Nero all’epoca.

Ringrazio di cuore Sonia che ha condiviso con me tutti questi passaggi di lavoro e di cura, e che mi ha permesso di vedere alcune delle illustrazioni scartate e di condividerle con voi… Grazie.
