Storie di calzini ed altri oggetti chiacchieroni
Ma ve lo devo proprio ma proprio dire che cosa amo della scrittura di Bernard?
Così, di pancia, concedendomi per un momento di fare la lettrice ingenua, la cosa che amo di più è che fa ridere. E’ divertente, ironico quando può spiazzante, leggero sempre. Storie di calzini e altri oggetti chiacchieroni di Bernard Friot e Silvia Bonanni, edito da Il castoro è uno di questi suoi gioiellini di leggerezza.
Le storie di calzini, come altri libri di Friot giocano con la forma breve, i capitoli si bevono d’un fiato, aprono e chiudono compiutamente un episodio che qua e là verrà richiamato dalla narrazione ma che di fatto si regge da solo permettendoci non solo di godere de ridere nel breve tratto ma anche di tornare da quegli oggetti, ovvero quei capitoli, che più hanno appagato il gusto del lettore.
Alla sveglia segue il cuscino che per me è stato uno degli oggetti più divertenti, questo cuscino che nel cuore della notte chiama Enzo e inizia una discussione assurda e lo nomina “fagiolino” chissà poi perché è talmente assurdo, al limite del demenziale che fa davvero sorridere. Poi c’è il vocabolario che decide di parlare un’altra lingua, che non conosce per altro, e quindi quello di italiano parla inglese e quello arabo italiano; la panchina che non vuole far sedere Enzo perché deve aspettare due vecchietti innamorati; le scarpe che prendono e se ne vanno di casa, tutte, di tutta la città, e restano solo delle scarpe straniere senza documenti di riconoscimento; la casa che si sente sola e il gli altri oggetti spero li scoprirete da soli.
Insomma tutti in casa di Enzo hanno qualcosa da dire, o forse non è solo a casa sua che accade così, forse accade così in tutte le case e siamo noi che abbiamo perso la capacità di ascoltare cosa le cose, scusate il gioco di parole, ci vogliono dire. Parlano di loro ma anche di noi e immaginare cosa potremmo ascoltare che ci direbbero se affinassimo l’udito mi pare esercizi interessante da ogni punto di vista.
Chiude il libro l’oggetto “libro” che è quello che stiamo tenendo in mano mentre leggiamo. Un libro che vuole giungere alla fine ma non vuole finire ancora e quindi ci lascia qualche pagina ancora per giocare insieme a lui. La penna, il libro, il vocabolario, qua e là, Friot lascia anche qui segni, inviti, giochi metanarrativi in cui scopriamo quello che si compie mentre si compie, giochiamo con la scrittura e la lettura nel mentre del farsi.
La forma breve forse in qualche modo, sia per lo stile di lavoro di Friot, sia per l’età a cui tendenzialmente di rivolge, risulta congeniale alla rapidità e leggerezza del tutto, e sto facendo un uso sin troppo scontato delle categorie di Calvino e tuttavia credo che questo sia: lavoro di lima estremo volto alla fruizione rapida e disinvolta ma che resta in profondità, mediata da riso… e scusate se è poco!!
Last but not least qui, come fortunatamente in altri libri di Friot, il lavoro della Bonanni segue lo stesso imprinting, pulito, ironico, rapido e per suggestioni entrando in perfetta sincronia con lo stile narrativo.
Scusatemi se chiudo con una battuta ed una suggestione personali. A me il nome Enzo ed anche il come è rappresentato l’autore all’inizio nell’illustrazione di Silvia Bonanni, mi ha fatto venire subito in mente un cantautore ed anche una sua canzone che secondo me ci sta proprio bene… Non ho potuto non pensare a Enzo Iannacci e al suo Ci vuole orecchio.
Per ascoltare gli oggetti, anzi parecchio!!!
p.s. a casa nostra praticamente nessuno appaia mai i calzini, spesso per scelta, talvolta per necessità, adesso inizio a pensare che ci sia anche una volontà esterna che subdolamente spinge 🙂