Letteratura e realtà
Chi pensa che la letteratura sia evasione alzi la mano.
Chi pensa che questo implichi una contrapposizione con la realtà, alzi la mano.
A questa idea piuttosto diffusa che io reputo in parte un fraintendimento, o quanto meno una semplificazione, vorrei dedicare questo post-ticino teorico di oggi a partire da due spunti entrambi che secondo me contengono qualcosa di “giusto” e qualcosa di “sbagliato”:
1- il dibattito che cresce da più parti sui cosiddetti libri a tema, su cui sono già tornata diverse volte e potete trovare qui e qui qualche approfondimento;
2- l’idea che, soprattutto negli scrittori italiani, ci sia un surplus di realtà, un eccessivo mimetismo, forse, o attaccamento alla narrazione realistica e pseudostorica, e non stiamo parlando dell’ambito di non fiction ma di quello di fiction.
Proverò a mettere insieme questi due spunti e a declinarli cercando di esplicitare al meglio il mio pensiero che molto si lega ad una tradizione letteraria tipica del nostro paese.
Da sempre, nella nostra letteratura, anche in quella di altri Paesi con storie culturali simili alla nostra, ma mi limiterei qui a riferirmi all’Italia, la realtà costituisce lo spunto, l’ispirazione se volete chiamarla così, per creare letteratura. Dalla poesia d’occasione che per secoli e secoli fino ad oggi è stata protagonista indiscussa anche dei più alti vertici del nostro canone letterario, ai romanzi che poi iniziano a mettere in scena le nuove classi sociali, la nuova concezione d’individuo, la realtà in cambiamento, persino le apologie politiche. Se osserviamo queste opere – in cui metto dentro da Boccaccio a Leopardi, da Manzoni a Nievo, Verga, Pirandello, Calvino, Volponi, Fenoglio, Pavese, Montale e tutto il ‘900 che ha grondato di relazione con un reale caotico ed in crisi con cui fare i conti – ci parrà naturale, spero, studiarle, interpretarle, leggerle, non per ciò che sottendevano ma per ciò che sono: opere letterarie. Questo è possibile soprattutto perché quella Storia da cui quelle opere sembrano esser scaturite è per noi lontana, si è perso in qualche modo il portato “politico”, contingente ed impegnato che avevano per i lettori loro contemporanei e ne è rimasto il nucleo principale, ovvero la forma letteraria.
Cosa accade invece per noi, per i nostri autori contemporanei e per i nostri autori contemporanei per ragazzi, tutti per altro di generazioni radicate mani e piedi nel Novecento?
Succede che assai spesso, per una scelta, o per una tendenza se preferite, che io sento molto ma molto radicata in questa componente culturale fondamentale della nostra storia letteraria (i motivi per cui così si è andata formando la nostra letteratura nazionale sono lunghi e complessi da indagare e non mi ci soffermerò in questa sede), scelgono di raccontare attraverso la letteratura, che sia narrativa o poesia o altre forme letterarie, ciò che accade. La narrazione può procedere in modo più o meno metaforico, più o meno distopico (si sprecano le distopie in questi anni di crisi, e tutto sommato è più che ovvio che così sia), più o meno esplicito e così è sempre successo nei secoli perché l’elemento della costruzione narrativa dipende dalla cifra stilistica e dalla poetica di ogni autore, pur persistendo la relazione con la realtà. In questo contesto rientrano anche alcuni autori che programmaticamente in toto, o solo per quanto riguarda alcune collane, prendono posizione, raccontano la realtà, ne danno forma estetica, anche per loro varrà un giudizio di valore estetico non di approvazione politica in senso lato!
Ma sin qui ci siamo occupati del contenuto del messaggio letterario, ovvero di ciò che la trama e l’intreccio veicolano e che può essere approcciato in vari modi (la critica tematica in primis, la critica psicanalitica, quella genetica e chi più ne ha più ne metta) ma il vero nucleo non l’abbiamo ancora nemmeno toccato.
Se un’opera merita il nome di opera letteraria, merita un’attenzione critica ed uno sforzo ermeneutico da parte del lettore, implicito e reale, non è per ciò che racconta ma per come lo racconta.
Oggi leggendo un saggio illuminate di Walter Siti ho ritrovato molti pensieri che sento miei e che lui naturalmente esprime come non sarei in grado di fare:
La forma […] serve ad estrarre i contenuti che lo scrittore sotto sotto voleva evitare; anzi la forma è un contenuto a tutti gli effetti e i contenuti bisogna meritarseli
Più chiaro di così. L’opera letteraria, romanzo, poesia, albo illustrato che sia, è ciò che letteralmente è. La sua potenza sta nella forma altrimenti, come dice Sini, se ricerchiamo nel contenuto il discrimine, su cosa basiamo le differenze tra gli innumerevoli romanzi che apparentemente sembrano raccontare la medesima cosa e che tuttavia, afferiscono ad aree estremamente diverse della sfera qualitativa andando dal capolavoro alla paccottiglia?
Certamente più il riferimento ad una realtà specifica, data in un momento specifico, è cogente più quel testo risulterà per i posteri datato, ma direi che se questo rischio l’ha corso Leopardi potranno permettersi di correrlo anche i nostri autori per giovani lettori. Al netto di questo, l’unico discrimine tra un testo ed un altro è quello qualitativo dettato dalla forma che organizza il messaggio. Una forma, che come appena citato da Sini, è contenuto essa stessa e in quanto tale bisogna meritarselo.
Come dire, se un autore è bravo che sia più o meno legato al reale, che sia più o meno “occasionale” nel senso di legato ad un’occasione, il suo sarò un testo valevole e bastevole a priori per sé e per il suo lettore.
Viceversa l’idea più originale del mondo non sostanziata da una forma esteticamente in grado di darle vita resterà lettera morta.
Qui, nella valutazione di una possibilità o l’altra, ovvero dentro o fuori la forma letteraria, con pure i vari gradi di qualità possibili, arriva la valutazione dello studioso, di quel lettore che non esprime un’opinione personale ma, come diceva Jacobson, colui che interroga la funzione letteraria della lingua che costringe il messaggio a riflettere su se stesso.
E’ il come il messaggio letterario si costruisce che diventa contenuto stesso, forma estetica significante di per sé e ben oltre ciò che c’è scritto nel libro. Poi, naturalmente, sul contenuto di questo messaggio, con tutte le cognizioni del caso rispetto alla forma, possiamo esercitare approcci sociologici, psicanalitici, ricezionisti o decostruzionisti, come vi aggraderà di più, ma solo dopo aver raggiunto la consapevolezza di trovarvi davanti ad un’opera letteraria degna di questo nome.
Chiudo con la provocazione da cui sono partita, a questo punto, possiamo davvero e sinceramente considerare la presunta funzione di evasione della letteratura contrapposta alla relazione di essa con la realtà?
Beh, se credete che davvero sia così e non vi ha convinto non il mio ragionamento ma ormai direi più di un secolo di studi di critica letteraria, allora vi invito seriamente a rivedere cosa sono stati per la loro epoca, tanto per fare dei nomi noti I viaggi di Gulliver di Swift, Il barone rampante di Calvino e tutta l’opera di Volponi, Sciascia, Fenoglio, ma possiamo anche andare indietro nel tempo e farci tutto l’800 il ‘700 e indietro fino a che abbiamo memoria di scrittura letteraria.