Senza una buona ragione
Senza una buona ragione di Benedetta Bonfiglioli edito da Pelledoca è un libro che può spiazzare. Può lasciare perplessi, a tratti attoniti, può suscitare interrogativi e sentimenti contrastanti.
Beh, già solo per questo direi che si tratta di un libro che merita di essere letto. Suscitare una reazione è decisamente un buon segno per un libro. Le reazioni che ho sin qui sentiti da parte di lettori perplessi riguardavano il contenuto della narrazione, che non vi racconterò (as usual) ma di cui qualcosina vi dirò tra pochissimo, eppure se quel contenuto ha prodotto delle reazioni è la scrittura, la costruzione narrativa, che ne è la responsabile quindi proviamo a sbirciare cosa c’è dentro e dietro Senza una buona ragione.
La trama riguarda una ragazza delle superiori, Bianca, che di punto in bianco viene presa di mira da una compagna (e qui mi fermo altrimenti vi tolgo tutto il gusto, anzi il disappunto-gusto) che sistematicamente riesce a toglierle tutto ciò che ha con prima piccoli poi sempre più feroci e subdoli atti di demolizione della certezze e persino della personalità. Bianca da ragazza serena, figlia di genitori piuttosto assenti per via del bar che gestiscono, non geniale ma ligia e rispettata a scuola, con amici che le vogliono bene e un fratello che la adora, passa nel giro di un anno scolastico a non avere più nulla, a venire bocciata, a scarificarsi braccia e gambe fino alla scoperta del tradimento supremo che l’ha portata in questo pozzo nero di distruzione. La discesa agli inferi dura esattamente due terzi del libro e la rottura viene segnata da una pagina nera. Poi inizia non una risalita ma un momento di stasi, di azzeramento del tempo e dello spazio a cui, sì, alla fine, seguirà una risalita dolorosa e faticosa ma risalita.
Ecco questo nero senza sosta e senza ragione credo sia ciò che lascia di stucco, l’idea che si possa provocare del male volontariamente fino a condurre una persona a farsi del male da sola. I primi due terzi del libro sono un continuo addensarsi di nubi sempre più nere dove nessuna luce è prevista all’orizzonte.
Ma arriviamo alla scrittura che riesce a tenerci legati in questo nero e a farcene provare persino vergogna e fastidio. Tutta la prima parte del libro è scritta in una forma molto rara: un io che dice tu. E’ la voce di un io narrante che scrive pensando di rivolgersi a Bianca. A questo si intervallano, in font e grafica diversa, pagine del diario dell’aguzzina che descrive il crescendo di dolore e di relativo godimento per il dolore apportato alla sua vittima. Nel come e quanto le due voci si intreccino sta la bravura nella costruzione dell’intreccio attentissimo che nulla lascia presagire fino alla fine della prima parte che regge cattura di più della seconda.
Nella seconda parte le voci narranti cambiano, si insinua un narratore zero onnisciente che ci permette di vedere Bianca dall’esterno e non più come vittima ma come creatura annichilita che piano piano rinasce. L’incontro con persone e con una situazione fortuita, la fortuna di essere ancora viva chissà poi come, l’incontro anche con un sentimento che molto si avvicina a quello dell’amore ma che non va come ci aspetteremmo perché la scrittura non cede e tiene. Niente da fare, la situazione migliora ma l’autrice non molla il punto, la catarsi piena non c’è e possiamo solo immaginare se e come arriverà o non arriverà, l’amore risolleva sì ma solo se ci si risolleva da soli e comunque non si mostra, non avviene davvero o non ci viene comunque detto.
E’ nell’ultima parte che i nodi vengono al pettine e iniziano a sciogliersi e forse questo è anche quello che forse rallenta un po’ la morsa della prima parte, Bianca cerca un motivo a ciò che le è accaduto ed è lì che arriva la frase di Thomas che dà il titolo al libro
“A volte le cose succedono e basta, senza una buona ragione.”
“Non ha senso cercare una risposta. Credo. Forse l’unica cosa che dipende da noi scegliere cosa fare con quello che ci accade.”
Per vedere la luce ci vuole il buio, direi che è un messaggio quasi dantesco, persino banale ma doloroso e a cui non si crede finché non si prova.
Ma il punto attorno a cui ruota il romanzo, e la chiusa, non è solo l’assenza di motivo, ma anche l’assenza di aiuto. Bianca non è aiutata perché non chiede aiuto, non ha avuto alcuna fiducia nel fatto che qualcuno potesse crederle, sostenerla. Questa è una cosa che vediamo accadere ogni giorno, senza arrivare al nero di Bianca a cui comunque molti ragazzi arrivano, in varie forme, questa sensazione di non avere nessuno di cui fidarsi è presente. Ma la cosa d’altra parte è reciproca… non vi pare?
Io mi fido dei ragazzi e mi fido dei libri per ragazzi che stanno dalla loro parte e raccontano loro tutto, anche, o forse soprattutto, quello che agli adulti non piace che venga raccontato, come se il male a non dirlo potesse non esistere.