Disegnare sui muri – storia di Keith Haring

Se penso ad un artista che sa, da solo, senza aiuti, suonare all’unisono con le corde di bambini e ragazzi, quello è indubbiamente Keith Haring. Anche per questo sono molto contenta dell’uscita di questo albo che ci tengo a segnalarvi. Si intitola Disegnare sui muri. Storia di Keith Haring, è scritto da Mattehw Burgess, illustrato da Josh Cochran e edito da Arka.

Capiamoci bene, Haring è un artista che come raramente accade, non ha bisogno di mediazioni per la sua opera, un catalogo o un lavoro direttamente sulle opere di Haring è perfetto con bambini e ragazzi. Quello che invece fa questo libro, così come gli atri della collana di Arka “perle d’arte”, è raccontare la vita di questo giovanissimo artista morto a 31 anni di Aids.

Più che i disegni sui muri questo albo racconta chi i disegni sui muri li ha fatti ed è riuscito a farli riconoscere quali espressioni d’arte aprendo poi la strada ad altri dopo di lui.

La scelta narrativa fatta è quella dunque della biografia, una biografia in terza persona che tra aneddoti e citazioni ci racconta l’uomo prima dell’artista.

Dal punto di vista iconografico, invece, il tentativo è quello di usare uno stile che richiami alla memoria quello di Haring così da rendere esplicito, anche attraverso l’occhio, il rimando all’opera dell’artista e non creare frizioni tra linguaggi figurativi diversi.

Insomma un libro interessante soprattutto per incontrare questo autore che non solo, come detto, sa entrare in sintonia col pubblico anche più giovane, ma ha spesso fatto riferimento nel suo lavoro a bambini e ragazzi non rifuggendo mai il confronto diretto, ed anche il lavoro a più mani, con loro.

Le opere di Haring risultano così vicine da poter suscitare la reazione del “lo potevo farlo anche io”, una reazione boomerang, o meglio a doppio taglio: se da un lato, in qualche modo, accorcia le distanze con il fruitore “ingenuo”; dall’altro sembra insinuare discredito. Ma a questo punto non può non tornare alla mente il bel libro di Bonanni di qualche anno fa intitolato proprio Lo potevo fare anch’io dall’esplicativo sottotitolo Perché l’arte contemporanea è davvero arte.

Per Haring, come per molti altri artisti della nostra contemporaneità, e penso in primis naturalmente a Banksy, l’arte non sta solo nel “cosa” ma nel “come”, è la realizzazione stessa a diventare significante. Siamo nell’era dell’ipermoderno, non dimentichiamocelo, forse Haring qui non c’era ancora arrivato ma nel postmoderno ci sguazzava a piene mani scegliendone però la parte “gioiosa” e vitale invece di quella catastrofica che ha caratterizzato il postmoderno in ogni sua espressione, letteraria o artistica che fosse.

Il pubblico ha diritto all’arte […]

l’arte è di tutti

Ecco il senso profondo della poetica di Haring, felicemente lampante in ogni sua singola opera che così bene si presta a quella riproducibilità in ogni contesto su cui tanto si interrogò Benjamin a suo tempo anticipando il futuro in maniera impressionante nell’insuperato e insuperabile L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.

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