Il giardino dei sogni

Quando tutto crolla, o almeno vacilla, resta il potere del sogno, del desiderio.

Il giardino dei sogni di Maike Neuendorff edito da Carthusia nella collana collegata al Silent Book Contest è un grande albo senza parole ma strapieno di sogni e segni tutti diretti nella medesima direzione, o forse dovrei dire dimensione… la congiunzione con la natura.

Non sappiamo e non sapremo mai se l’avventura che i bambini protagonisti vivono in questo libro sia sogno o realtà, se il gatto che li guida nel giardino è loro sin dall’inizio o se è “solo” il colui che li traghetta da una dimensione all’altra; di dati concreti ne abbiamo davvero molto pochi e ce li dobbiamo far bastare.

Ci sono due bambini che seguendo un gatto scoprono un giardino enorme con frutti e animali enormi, o almeno grandi quanto loro (potremmo immaginare anche che siano i bambini ad essersi rimpiccioliti entrando nel giardino), in mezzo ai quali poi si addormentano abbracciati al gatto per ritrovarsi infine di nuovo nel proprio letto.

Si può sognare in due la stessa cosa? Si può essere compartecipi l’uno del sogno dell’altro?

Che si possa o no questo accade in questo albo in cui il verde più che dominante in ogni sua sfumatura vi trasmetterà un forte senso di quiete che agevolerà anche il passaggio del lettore da una dimensione all’altra: da quella reale di lettore, a quella interna di copersonaggio e cocreatore della storia con il proprio potere ermeneutico; da quella realistica dei bambini protagonisti, a quella onirica del giardino.

Gli sbocchi e le possibilità interpretative dell’albo sono tantissime e vengono moltiplicate dalla tavola del letto che diventa recinto al giardino, tavola che ritroviamo quasi identica ma speculare in apertura e chiusura del libro, chissà forse avrebbe potuto essere un risguardo, che da un lato sembra avvalorare l’ipotesi dell’avventura onirica, dall’altro eleva il grado di possibilità di lettura e interpretazione.

Eppure mi domando, e vi domando, serve cercare IL senso del libro? Qui prodest trovare un senso in un libro?

Non è molto più saggio e giusto lasciare che il libro prenda un senso diverso per ogni lettore?

Tanto più che il linguaggio scelto da Maike Neuendorff, qui alla sua prima prova d’autrice, è quello dell’albo senza parole che più di ogni altra tipologia narrativa moltiplica le ipotesi di lettura non definendo alcun “testo guida”.

Certo a chi sceglie i libri da proporre ai bambini serve almeno intravedere tutta questa ipotetica geminazione di letture per poter valutare il valore del libro ed anche indirizzarlo verso il lettore “giusto”, e tuttavia è caldamente raccomandato, una volta fatto arrivare il libro nelle mani del giovane lettore, lasciare che se la vedano da soli, magari chiacchierare delle varie impressioni usando il “dimmi” di Chambers e non il “perché” con cui spesso pungoliamo i lettori in cerca di spiegazioni (proprio nel senso di togliere le pieghe) del pensiero.

Rileggendo Il giardino dei sogni mi è tornato alla memoria un altro libro che racconta di un giardino speciale che in questi giorni di notizie di guerra calza purtroppo ancora una volta a pennello: Oltre il giardino di Chiara Mezzalama e Regis Lejonc edito da Orecchio acerbo…. Ma questa è un’altra storia, un altro libro…

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