La nudità che male fa?

Contiene nudità e va bene così

La nudità che male fa? di Rosie Haine con la traduzione di Guia Risari edito da Settenove è un libro che viene dritto dritto dalla Tate per raccontarci il corpo con un linguaggio che molto ha a che fare con l’arte, oltre che naturalmente con il corpo.

Il titolo originale del libro It isn’t rude to ben nude esplicita forse meglio di quello italiano, che però inserisce in quella specie di bollone sulla copertina, la volontà di togliere l’accezione negativa legata alla nudità come qualcosa di brutto e soprattutto volgare.

Ma la bellezza della costruzione di questi albo, testo e immagini insieme, sta proprio nel fatto di sostenere visivamente ed a parole, la bellezza e soprattutto ingenuità del corpo in quanto tale.

Bello, brutto, da grandi o da piccoli, menomato o sano, il corpo va bene così perché è ciò che abbiamo e ciò che siamo.

Mi viene da riassumere il messaggio esplicitamente lanciato da questo albo con una massima stiracchiatamente mutuata da Cartesio,

ho un corpo dunque sono.

E se così non vi ci ritrovate perché il centro della frase di Cartesio è proprio il contrario della fisicità del corpo, ovvero il cogito, il pensiero, proviamo così: penso il mio corpo dunque sono.

Lo penso per ciò che è ed anche lo guardo, il mio e quello degli altri, per ciò che è, quella struttura di carne ossa muscoli e tessuti che ci tiene su l’anima.

La costruzione dell’albo dal punto di vista figurativo gioca con la struttura a catalogo mettendo insieme le parti del corpo: sedersi con sederi, con una eccezione, trovatela, piselli con piselli, vagine con vagine, capelli con capelli ecc. Sembra a tratti di avere in mano un quaderno di schizzi dal vivo, sfondo bianco e tante versioni della stessa, apparentemente, cosa. Bellissima l’apertura con un corpo intero che occupa le due pagine cercando di starci dentro e lo fa con una posizione che potrebbe aprire una ricerca ampia sulle rappresentazioni di corpi nella storia dell’arte, dalle veneri a ciò che vi viene in mente. È un gioco che si potrebbe fare!

Mai mai mai compare nel libro un riferimento che non sia corporeo e corporale al corpo, non c’è sessualità, e, capiamoci bene, non ci sarebbe nulla di male se ci fosse, ma non è questo lo scopo del libro. Questa è una tacita educazione visiva all’accettazione di sé e del proprio corpo in quanto tale non altro.

E se è vero che la malizia, così come la bellezza, è negli occhi di chi guarda, chi vorrà vedere in questo albo qualcosa che non c’è dovrà farsi rivedere la vista!

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