Dove c’era un prato

Pensare a cosa c’era nel luogo in cui ci troviamo, nel posto che stiamo attraversando, prima del momento presente, prima anche di un passato più o meno prossimo, è un esercizio mentale non solo importante ma molto presente nella mente dei bambini.

Dove c’era un prato di Jörg Müller, finalmente tornato disponibile grazie all’editore Lazy Dog che ha accompagnato questa edizione con una postfazione di Giulia Mirandola, è un libro che alimenta questa curiosità e necessità di risalita del tempo. Dico libro perché alla forma in libro ci ha abituato la prima edizione del 1974 per Emme edizioni e così riesce per Lazy Dog ma come ben racconta Giulia Mirandola l’edizione originale non ha le pagine rilegate ma delle tavole staccate che evidentemente producono un’esperienza completamente diversa nel lettore.

Nel lettore, di qualsiasi età, di immagini e delle decine di storie che vi sono nascoste dentro, perché questo libro non ha le parole e questo lo rende adatto ai lettori più piccoli come ai più grandi, a cui ognuno darà una lettura ed una interpretazione naturalmente diversa.

Un po’ come accadrà ne La casa del tempo di Innocenti abbiamo in tutte le tavole una unica inquadratura fissa, forse si allontana un po’ l’obiettivo nelle ultime tavole, da cui percepiamo il passaggio del tempo, scandito anche dalla scritta in basso alle tavole che data dal 1953 al 1973, 20 anni di evoluzione (a patto di non voler dare a questa parola un significato necessariamente positivo). Passa il tempo, aumenta la percentuale di cemento fino a prendere il sopravvento, passano le stagioni…

Trascorre visibilmente, il tempo, in questo libro, ma il centro della narrazione non sembra essere il tempo bensì il cambiamento ambientale, paesaggistico che esso comporta. Ovvero, posto che tempo e spazio si implicano sempre a vicenda e che nelle narrazioni, forse ancor più nelle narrazioni per immagini, l’uno implica l’altro, il centro di questo albo io lo vedo più spostato verso lo spazio piuttosto che verso il tempo.

Sin dal titolo italiano, che però in tedesco era diverso, è un luogo fisico ad essere centrale, la casa rossa circondata da sempre meno verde fino ad essere del tutto sopraffatta dall’industria di quella che potremmo immaginare una periferia urbana.

Noto, per inciso, anche, che nelle tavole la casa non è perfettamente centrale, in effetti è lo spazio attorno, il paesaggio vero e proprio con tutte le vite animali, vegetali ed umane che si susseguono nelle stagioni e negli anni, ad essere protagonista assoluto.

Non fa specie, anzi, che questo libro risalga agli anni Settanta quando il processo di sottrazione del terreno naturale ed anche agricolo a favore della città e dell’industria fu rapidissimo, evidente, ed evidentemente sconvolgente; quello che fa specie, o almeno dovrebbe, è considerare che il libro risulta essere perfettamente al passo con i nostri tempi, non con quelli di 40 anni fa. Il processo che allora faceva specie oggi forse non lo vediamo neanche più tanto ne siamo abituati ma continua ad erodere il territorio e ancora di più è così nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo. Ci sarebbe davvero da domandarsi se lo sviluppo ad alcuni livelli non sia in realtà in inviluppo. La civiltà che avanza a discapito del proprio Pianeta, e dunque della propria sussistenza, può dirsi davvero civiltà?

Chissà cosa muove in un lettore piccolissimo una lettura di questo genere, così vicina in qualche modo ai libri brulicanti ma con molti meno dettagli da scoprire, quello che c’è da scoprire è invece la vista del paesaggio, quello a cui spesso non badiamo, come se andassimo sempre in treno e ci scorresse sempre fuori dal finestrino talmente velocemente da non poterlo afferrare.

Qui ci possiamo fermare ad afferrare non solo cosa c’è, cosa non c’è più, cosa cambia e cosa c’è di nuovo, ma soprattutto ad afferrare concetti, idee, pensieri che ci riguardano, tutti.

Per continuare ad approfondire vi invito a leggere qui il bel contributo di Giulia Mirandola sul blog dei Topipittori

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