La fioraia di Sarajevo
Chissà dove ero e cosa stavo facendo quel giorno di febbraio del 1992 in cui Mario Boccia incontrò la fioraia di Sarajevo. Avevo 12 anni e la guerra in Bosnia me la ricordo benissimo, la ricordo più che dai telegiornali dal rumore e dalla vista degli aerei militari che passavano sopra Venezia diretti oltre il mare.
Lei, invece, la fioraia di Sarajevo, in tutto quel tempo in cui io non ricordo i miei movimenti, restò sempre lì, a Sarajevo tra casa e il banco del mercato dove prima vendeva fiori veri e poi, con la guerra, fiori di carta.
Al foto reporter Mario Boccia che racconta la sua storia ne La fioraia di Sarajevo con le illustrazioni potenti di Sonia Maria Luce Possentini per i tipi di Orecchio acerbo, la fioraia non volle svelare l’etnia di appartenenza nemmeno pronunciando il proprio nome, era nata a Sarajevo e faceva la fioraia e questo doveva bastare.
Non credo ci sia differenza alcuna nei fiori che vende una fioraia se essa appartiene all’etnia musulmana, serba o croata o quale che sia in giro per il mondo, in qualsiasi posto, in qualsiasi guerra.
La protagonista di questa storia vera identifica la propria identità con il proprio mestiere ed in questo caso la cosa è tanto più interessante quanto il tutto sembra assumere caratteri surreali nel contesto della guerra. Mentre tutto manca, mentre cadono bombe nel mercato di Sarajevo e tutto intorno, mentre si muore a qualsiasi età e per qualsiasi motivo, lei, la fioraia continua rappresentare, anche con la sua sola presenza, il superfluo.
Vi viene in mente qualcosa di più superfluo di un fiore di carta in mezzo ad una guerra tra bombe e cecchini?
Non credo, e allora?
E allora
Se non lasci alla guerra il potere di cambiare la tua identità e il tuo ruolo,
allora hai vinto.
Se muori,
almeno sei rimasta quella che hai scelto di essere,
perché l’identità è una scelta,
non una casualità anagrafica,
e sei riuscita a difenderla.
L’identità è una scelta, come raccontarlo ai ragazzi, alle ragazze, come toccare le corde giuste non solo per indirizzare una scelta per la vita, quella di essere chi si desidera essere, ma anche per comprendere che l’anagrafe, il luogo dove si è nati, la condizione sociale in cui ci si trova a nascere, è solo una casualità e non un diritto o una punizione?
Non stupisce che Sonia Maria Luce Possentini, la Sonia di Nome di battaglia Nero (albo potentissimo sull’affermazione dell’identità individuale e collettiva), abbia sentito nelle sue corde questa storia che ha illustrato con forza materica, come fa lei, con i colori e i fiori e le persone e gli animali che quasi possiamo toccare con mano accarezzando le pagine del libro.

La fioraia di Sarajevo, la donna vera e il libro che racconta la sua storia, ripudia la guerra con l’unico mezzo che ha: quello di restare fedele alla propria identità continuando a offrire un’opportunità di bellezza nel brutto assoluto, il superfluo lì dove manca qualsiasi bene primario e necessario.
Volete raccontare la guerra ai ragazzi? Allora proviamo a raccontarla come negazione della bellezza attraverso storie di resistenza che mettono in gioco la propria vita per non perdere la propria identità. E se è questo che volete raccontare lasciatevi guidare dalle illustrazioni di Sonia Maria Luce Possentini perché loro sanno quale linguaggio parlare con il lettore, quello della verità e della bellezza, proprio come il linguaggio silenzioso della fioraia di Sarajevo.